Caro B che stai tornando/7

Ho iniziato a piangere e non mi sono più fermata.

Da sobria avrei incassato, riso per finta, fatto finta di niente ma non lo ero.
Poi checcazzo, sarà stato ubriaco anche lui ma l’alcool non inventa: amplifica, così ha alzato al massimo volume un suo nervoso che covava da chissà quanto e a me la tristezza di vederlo così.

Perché negli anni, con e (soprattutto) senza motivo abbiamo litigato milioni di volte bastava un “Ciao” e finiva in psicodramma ma era uno scontro che vedevo cretino e alla pari e la verità è che non ho dato mai lontanamente la stessa importanza agli anni di litigio di quella che per me hanno avuto gli anni insieme.
Eravamo ragazzini
è stata una vita fa
era finita già da un po’
Lo so!
Appunto: era una cosa da ricordare senza rancore, trascinata poi male ma comunque intoccata, la prima storia che sei scemo e non sai niente e vivi tutto di pancia e che bello sarebbe stato un giorno ripensarci a cuor leggero!
Almeno: pensavo.

Ero triste perché a quel punto era evidente che non sarebbe mai stato così.

Ad un certo punto, serata finita, dopo che avevo pianto circa due ore (oh scusa ma non riuscivo a fermarmi!) e perso un po’ di tramontana qualcuno mi ha caricata in auto e portata a casa.
Non ho idea di chi ci fosse sui sedili anteriori.
Mi fa ancora mettere il viso tra le mani la lieve empasse di – ehm – “palpate solidali” messa in atto dall’amico seduto al mio fianco ma ne sono uscita senza danni: prima che me ne accorgessi eravamo davanti al mio portone.

Mi sono buttata nel letto vestita, piuttosto disgustosa e stesa dalla giornata B, tu che mi hai vista bere sai di cosa parlo.
Ho dormito un sonno pesante e vischioso fino alle dodici del giorno dopo, senza mai aprire gli occhi prima – che per me è strano – senza sognare.

Ripresi i sensi, aspettati svariati minuti, ho recuperato il telefono e controllato lo schermo: avevo più di un messaggio da leggere.

Caro B che stai tornando/6

La festa era solo a metà B, Elle e Ale ronzavano sorridenti da un tavolo all’altro, il vociare era allegro e tutti iniziavamo a essere decisamente ubriachi di cibo e di vino.

Per il resto della serata ho evitato M: mi era bastata la conferma del fatto che ce l’avesse con me, non volevo problemi.

Ma le pietanze non riuscivano ad arginare il livello alcolico, poi lo sai che io non posso mangiare granché quando sono fuori casa e le verdure grigliate non sono grandi alleate quando si parla di fare da diga tra i brindisi e la lucidità.

Il sole era calato da ormai qualche ora che, finita la cena, parte del grande gazebo bianco era stato adibito a pista da ballo e ci eravamo radunati attorno alla consolle in esempi molto divertenti di come un corso di danza al momento giusto della vita, avrebbe potuto renderci nel futuro individui meno imbarazzanti per loro stessi.

Ballavo con chi capitava: amici che non vedo mai, amiche che idem, sposo, sposa, parenti, sconosciuti, poi trenino – una di quelle cose che da sobri snobbiamo tutti – all’infinito.
Peppeppeppepè,
peppeppeppepè
etc.

Il trenino arriva a destinazione a fine canzone, sollevo il viso ormai sudaticcio e mi trovo esattamente, inevitabilmente di fronte a M.
M mi guarda serio, solleva le sopracciglia e non dice una parola.
Nessun problema!, ormai biascico io per tutti!

– Dai, fammi compagnia a fumare una scigaretta

Annuisce, mi segue

Usciamo dal gazebo sul prato, allo stesso tavolino di cui sopra, sediamo lui su una sedia io sul prato, cerco una sigaretta ma non la trovo e in silenzio me ne porge il pacchetto e non ricordo cos’ho detto, non esattamente ma dev’essere stata una cosa del tipo “Te sei sempre un po’ strano”.
Ricordo che – stolta – sorridevo, pensavo – il vino pensava – che il momento di prima fosse finito.

– Te sei sempre un po’ strano
-…

Pausa.
M si agita sulla sedia, mi guarda per un momento di nuovo con la faccia pesantemente schifata, io non afferro subito quello che mi dice:

– Ma sai che a me non me ne frega un cazzo di stare qua a parlare con te?!
Infatti non so neanche cosa ci sto a fare

e mentre lo dice prende e se ne va.
Così, dal nulla, come gli avessi offeso la famiglia, in uno spazio di due secondi.
Stavo ancora accendendo la sigaretta.

Anche a ripensarci ora B, mi viene una sensazione fastidiosa nel petto, pensa a come mi sono sentita in quel momento che ero stanca, sbronza e felice.
Sarò io una pastina, una sfigata, non lo so, sarà che mi ha presa alla sprovvista.
Seduta nel prato ho
acceso la sigaretta
dato due boccate
pianto.

Caro B che stai tornando/5

Mentre parlavo con Turbo, circondata da alcuni degli altri che ascoltavano (io credo) divertiti, M mi fissava con un mezzo sorriso inquietante.
Mi fissa
Mi fissa
Si vede che si trattiene
Poi
Sbotta:

– Ah, bella roba!
– Scusami..?
(Io sorriso ebete)

– No dico, bella roba le donne che descrivi, bah!, cosa ci sia di attraente poi non so!
– Beh ohi son gusti.. La donna spiccia ha un suo pubblico

Cercavo di tenerla leggera B, senza colpo ferire

– Non capisco cosa ci sia di bello, con la gente che descrivi io non ci passerei nemmeno cinque minuti

(Perché dopo tre ti avrebbero già giustamente rotto il naso)

– Beh vabè, tranquillo: mica ci devi passare del tempo se non vuoi..
– No quello di sicuro! Neanche morto, dico solo: bello schifo, non capisco che ci si dovrebbe stare a fare con donne del genere, che merda!

Non avevo descritto chissà quali tratti, non avevo fatto un comizio, mi ero limitata a raccontare brevemente le salienze delle mie amiche, calcando la mano sull’aspetto cazzuto (che non deve piacere a tutti) della donna rugbista.
Checcazzo, parlavo di minchiate!

Il mio tono B era calmo e stupito, il suo irritato, la voce quasi stridula e l’espressione guasta da matti.
A vedersi faceva un po’ schifo e un po’ tristezza, lui che avevo sempre trovato così bello da guardare era sgradevole e grottesco, il volto deformato e ridicolo.
Per cosa poi??
Bah.

Gli amici attorno – che da quando abito via sono più suoi che miei – se mentre parlavo io ridacchiavano e commentavano e annuivano, si erano fatti silenziosi e quasi imbarazzati.

Era riuscito a creare del disagio in due minuti e non voleva fermarsi, cosa che avrei pure apprezzato se fosse stato il momento giusto ma si era lì a scherzare aspettando il secondo B, che bisogno c’era?
E non mi sento nemmeno responsabile per la “provocazione”, perché è stato del tutto ridicolo reagire in quel modo.

Anyway, si era fatto un po’ di gelo.
Lo sai che non mi piace essere attaccata e, nonostante tutti mi taccino di impulsività, ho mantenuto il sorriso migliore, piombato il bicchiere quasi pieno che avevo in mano con la nonchalance di un lavandino e mi sono alzata:

“Ops, ho finito il vino, vado in cerca di un refill, a dopo!”.

B, tu non mi conosci poi così bene, per come è andata avanti la serata mi avresti immaginata a placcare alto e tagliare teste, dare risposte taglienti e lapidarie uscendone senza un graffio ma io non sono così: quando qualcuno che ho amato – che sia stato in un tempo remoto e passato non importa – mi tratta di merda, io accuso il colpo.

E sono felice, a dispetto di tutto lo schifo che c’è stato con M, di esserne ancora capace.

Caro B che stai tornando/4

E insomma, matrimonio.

Del mio circacugino: mia zia e suo zio sono sposati da sempre, noi siamo amici e abbiamo gli amici del paese in comune, quindi c’era un miscuglio divertente quel sabato di giugno (credo fosse già giugno).
Elle (lui) e Ale (lei) sono una coppia molto bella, sia da guardare che da compagnia, poi si potrebbero usare numerosi aggettivi per loro ma “belli” nell’accezione più estesa del termine mi pare confacente.

Beh insomma, il sabato era caldo e io vestita di rosso.
La metà di cerimonia che ho visto mi sarebbe sembrata molto tenera anche senza i due prosecchi bevuti nella metà marinata, una volta usciti dalla chiesa poi – tra riso e chiacchere – è sbucata nella via una classe di corso di danza africana e lungo il percorso della loro parata ci hanno regalato una lunga tappa di percussioni e balli e sembrava fatto apposta anche se non lo era.
Una figata davvero!

Verso sera ci siamo spostati per l’aperitivo in un agriturismo con tanto prato e animali, tanto vino e tanto tramonto.
Belli la cornice, la compagnia, il cielo.

M pareva tranquillo: dopo un po’ si era avvicinato per salutare me e mia zia, fare due chiacchere con lei e cose così.

Poi tutto è proceduto come al solito procede nelle feste ben riuscite: mangiare, parlare, ridere, bere troppo.

Verso metà cena io stavo facendo un po’ del mio show: seduta ad un tavolino in una pausa tra le portate, pontificavo con l’amico Turbo di donne.

– quindi Tazza, quand’è che mi presenti delle rugbiste?
– ah Turbo, non so, guarda che ti girano come un calzino quelle
– ma ce ne sono di scopabili?
– haivoglia

e quando si parla di gnocca con gli amici la più grezza sono io, spesso altri zitti zitti si mettono ad ascoltare quello che dico, approvando o meno, spesso ridono.

Vedo da qualche metro avvicinarsi al capannello che eravamo, M.
Faccia incazzata.
Guardava male me, palesemente.

Serata a metà: livello alcolico intermedio.

Si siede con noi, tace, mi guarda con l’espressione di chi ti aspetta al varco.
“Magari me lo sto sognando” mi dico, quindi
per fugare i miei dubbi
perché ci sarem lasciati pure sette anni fa che è più di quanto siamo stati insieme
perché i polli, polli restano
perché le persone non cambiano mai di tanto

uso un’espressione che sapevo, qualora ce l’avesse avuta veramente con me, lo avrebbe fatto saltare su:

“[…] donne con una forte personalità.”

Beh B, lui mi ha sempre detto, in modo molto meschino, che sono pazza, tu pure della normale non me ne hai mai dato, ma dimmi che sembra stia bene una persona che per mezza frase, strippa.

Perché – ovviamente – ha funzionato.

Caro B che stai tornando/3

Comunque sì: ho fatto bene a scrivergli, gli ho spiegato come mai lo avessi ricominciato a evitare e lui mi ha risposto, in modo sorprendentemente cordiale, quasi carino, concludendo con il proposito di bere un calice insieme di lì a poco.

Il primo maggio quindi ci siamo incontrati per sbaglio.
Io e un’amica eravamo al tavolino di un bar della piazza, al tavolino dietro mangiavano i ragazzi del paese che avevano organizzato il concertino di quel giorno, in un momento come un’altro lo sento arrivare, saluta quelli alle mie spalle e all’improvviso si materializza sulla sedia accanto alla mia.
Chiacchere, un po’ tese e inusuali, ma niente male.
Poi la serata prosegue, lui non vuole un secondo spritz o altro che il giorno dopo avrebbe lavorato e “io per principio al bar le cose analcoliche non le prendo!” perché il sussiego dei diciotto anni non tutti lo perdono con una decade in più, quindi ciao e me ne vado a ballare brilla sotto al palco dove un gruppo di cinquantenni matti rendeva la piazza ancora sciancata dal terremoto un posto più felice del solito.

Poi tu B mi hai fatto strippare, l’ennesima volta e ci siamo scritti mail tragiche, epiche, allucinate, che nel percorso tra Italia e Cina avranno provocato una corrente nauseante carica dell’odore di tutte queste stronzate che ci siamo sempre detti e io – demente – ho pensato che M fosse la persona giusta in quel momento con cui prendere un caffè e chiarirmi i pensieri.
Ero contenta di parlarci di nuovo, io non dimentico mai chi è stato famiglia.

Prendiamo quindi un caffè che poi era uno spritz, parliamo e mi sembrava vagamente infastidito che gli parlassi di te.
Mi chiedeva che tipo di rapporto avessimo, “seghe mentali e basta” rispondevo io.

Non gli piaceva parlare di qualcun altro evidentemente, old habits rendono cacapalle anche dopo ere a quanto pare.

Finiamo il bicchiere e le chiacchere e c’è un momento strano, ai saluti in piedi per strada, dove si avvicina più di quanto mi sarei aspettata.
Gli do un bacio sulla guancia, dico “A presto” e lui risponde “Immagino ci vedremo sabato al matrimonio”.
Ah beh, era il matrimonio di un mio quasi parente, ero io che non immaginavo ci avrei visto lui.

Il matrimonio è stato l’effettivo inizio di tutto B, ti racconterò.

Ordinarietà di sabato

“Guarda, capisco le offerte, ma ti impedisco di comprare altro pollo finché non avrai finito almeno il 50% di quello che c’è in freezer.
Il fondo del freezer è una periferia inesplorata – un po’ come la tua borsa – ma ho già visto due cosciotti solo aprendo e buttando l’occhio”

Char non capisce il mio monotematismo alimentare, né come sia possibile che io abbia cercato per due giorni le chiavi – e mi sia fatta ospitare a casa di un amico pensando di non averle con me mentre tornavo a casa alle due di notte per poi trovarmi a guardare Batman e Robin con tre energumeni al grido di: “Oooh, i bei film come li facevano una volta. Delle cacate incredibili” – e poi fossero nella mia borsa.
Che avevo con me in quei due giorni.
E le ha trovate lei quando ho scordato la borsa a casa eh, manco io.

Ma mi trova la chiavi e vigila sul fatto che non mi venga lo scorbuto.
Ah, le coinquiline pugliesi.

Caro B che stai tornando/2

Ti stavo dicendo: un paio di palle.

Pensavo che dopo tutto quel tempo e quell’odio, ci saremmo incontrati più adulti e placati.
Poi lui nel frattempo ha fatto un sacco di cose: ha avuto un’altra storia lunga e altre corte, una laurea, una diagnosi scomoda, sorelle diventate adolescenti, etc.
Insomma, non pensavo che nella sua testa ci fosse ancora spazio per avercela con me.

A Natale lo avevo beccato durante la classica serata fuori con gli amici del 25.
Eravamo in un cerchio di una decina di persone, poi: un piccolo indiano era andato a passeggiare, un altro piccolo indiano a prendere un rosso fermo e insomma eravamo rimasti in tre o quattro, quindi a ‘na certa ci siamo rivolti la parola direttamente.
E abbiamo chiaccherato, riso, detto qualche cacata come non succedeva da quel che mi sembrava mai.
Dopo poco lui se n’è andato, io no.
Tornata a casa più tardi, tra il fatto che fosse Natale, tra che avevo visto suo nonno – sempre in gamba! – al supermercato un paio di giorni prima, tra che ho letto troppi Gaia Junior nella mia vita, gli mando un messaggio.

“Uè, era una vita che non facevamo due risate, mi ha fatto piacere! Buone feste!”

Silenzio.
Vabè, magari aveva cambiato numero.

L’ho rivisto a capodanno: arrivo nella casa che ospitava la cena della ventina che eravamo, mi passano tre cannoni in tre minuti, riesco ad entrare che ero già stordita in modo irreparabile, lo vedo e penso: “Oddio, ma magari gli do noia” e preda di quel desiderio di defilarsi che solo le sostanze psicotrope sanno procurarmi, lo evito tutta sera.
Ti assicuro B, che in una stanza con venti persone di cui almeno tre non ti stanno simpaticissime, evitarne pure una quarta non è cosa facile.

Comunque il capodanno passa – buon 2014 evviva evviva, basta canne cristo che sto sui gomiti ormai – e tutti a casa.

Ad aprile inoltrato incontro un amico che è sposato da tanti anni, amico pure di questo ex (infatti andammo insieme al suo matrimonio), a ‘na certa gli chiedo: “Ma che tu sappia, M ha mica cambiato numero?”

“Eh sì, la scorsa estate ha perso il cellulare”
“Ah, checcazzo”

Così mentre tornavo a casa gli ho scritto, avrei potuto evitarlo ma non l’ho fatto.
Avrei potuto battermene le palle ma non sono riuscita, avevo bevuto due cubetti e i miei neuroni e il rum bianco erano in disaccordo, democraticamente ha vinto il rum.

Alla fine ho fatto bene a fare così, però.

Come mi manchi?

Mi manchi.
Come una molletta quando il ciuffo va negli occhi.
Come la crema viso col vento in inverno;
Come l’aria avanzata di quando ti interrompono mentre sospiri;
Come il filo interdentale se la scatolina è caduta dietro alla lavatrice;

E che scrivo dal bagno
Perché mi mancheresti come il sesamo tostato
Se fossi in cucina;
Come il coltello affilato
Quello che ho rotto stamattina.

Mi manchi come una mano che avresti voglia di prendere quando nelle mezze stagioni l’aria sa come l’acqua in montagna.
Mi manchi a pezzettini
Più o meno
Ogni due minuti.

Caro B che stai tornando

Non ti sento da agosto, ma nemmeno ti avevo raccontato cosa era successo a Maggio.

Passeggia indietro fino ad aprile, con la mente e con la casella di posta elettronica, riscorri – ti prego senza leggere – quelle mail tra di noi e ricorda: pipponi.
Pipponi infiniti.
Tra me e te, non importano i mesi, lo spazio e i continenti, finisce sempre a pipponi.

“Non so cosa sei per me”
“In un certo senso ti amo”
“Il modo ambiguo con cui stiamo insieme mi stordisce”
“Sei importante”

Che di me, cresciuta a pane e Piccole Donne si può pure capire, ma di te nessuno lo direbbe mai, sarà stato quel libro di Baricco che una volta hai letto ad averti rovinato.

Comunque, dicevo caro B, nel clima di paranoia becera di quel fine aprile, ho reincrociato in modo curioso il mio primo moroso.
Restammo assieme cinque anni e mezzo e ci lasciammo che ne avevo 21: dopo una pausa di riflessione si presentò a casa mia che mi ero appena ribaltata con l’auto in un fosso:
“Ho pensato che ti voglio bene e che ci voglio riprovare”
“E che me ne faccio dopo cinque anni e mezza di un ti voglio bene? Anche alla carta da parati dopo anni si vuole bene”
“E allora – sniff sniff – cosa facciamo?”
“Facciamo che mi lasci eh, ciao”

Sono sempre stata io quella con le palle, teoriche.
Poi son stata male come un cane, contestualmente la salute peggiorava ma io non lo sapevo ancora, insomma un disastro di proporzioni telefilmiche hardcore.
E con ‘sto ex poi negli anni siamo diventati nemici giurati: io gli tolsi il saluto per ottime ragioni (sbucava ogni tot mesi, mi riempiva di pare a suon di limoni e scopate e scompariva, grazie), lui si offese, io un pomeriggio ricevetti numerose chiamate che parevano partire accidentali durante un amplesso – a causa dell’audio – e invece lui e sua morosa stavano scalando una scogliera in Sicilia a fine settembre ma questo lo seppi solo in seguito e lui si incazzò a morte.
Cose così.

E insomma, fortunosamente come ci eravamo odiati, a distanza di sette anni, ci siamo di nuovo trovati a parlare seduti ad un tavolino.
Lui – che come te ha i capelli neri ma ispidi, la barba che te manco se ti fertilizzi le guance, gli occhi più chiari dei tuoi ma così incapaci di dire – cordiale e insulso, irritabile e borioso, altezzoso e immodesto, io lo vedevo con occhi teneri ormai.

“Massì è passato tanto teeeempo, ormai possiamo avere un rapporto normale, in fondo siamo cresciuti insieeeme”.

Sì, un paio di palle.

A volte ritornano

“A volte ritornano”, ma qui si sta esagerando.
Miseria ladra, “a volte” lo hai già esaurito, le hai finite le volte da usare.

A volte penso tu mi abbia dimenticata del tutto, proprio una cosa che un giorno, posando distrattamente lo sguardo su una mia foto non si sa come finita lì, ti verrebbe da pensare “Mi ricorda qualcuno” e basta così.
Poi risbuchi però.
E io mi sento come il tagliando dell’auto.
Chissà cosa ti passa per quella testa sistemata così in alto: ” È quasi Natale, torno in Europa, le scrivo”, perché non so immaginarti pensare complicato.

Non ti immagino che pensi a me, però ti ricordo guardarmi.

Con i tuoi capelli neri
Il sorrisone da marachella
I pensieri annodati
I tuoi due metri di scemenza
Lo sguardo di ragazzino

Mi sei mancato.