Ti devo aggiornare sulle cose, poi ne succedono altre, poi se ne trovano altre ancora da fare e allora diventa un po’ inaffrontabile.
Mi sembra siano già passati mesi dalla domenica di due settimane fa, invece si tratta solo di una spolverata di giorni e io sono ancora a scrivere al sole. Un po’ sbronza da ieri, che c’è stato il matrimonio di B.
Vabbé, quella domenica mattina facevo “scatoloni” per vuotare quell’appartamento di merda. Infilavo cose a caso in sacchi della differenziata, pensavo a come sarebbe stato tornare a casa con i miei e affrontare tutte le questioni rimaste in sospeso quando me ne sono andata, e non riuscivo a togliermi dalla testa Lui. Che in pochi mesi è invecchiato dieci anni e che probabilmente non rivedrò.
La malattia è una cosa strana: il tuo tempo non diminuisce, passa ancora più in fretta e i segni si accumulano come scarabocchi sul quaderno di fianco al telefono nel 1994.
Insomma, oltre a essere già in fase di ricaduta psichiatrica, era un momento strano, triste e di passaggio tutto insieme.
Quindi, ovviamente, quando il tizio che avevo sentito al giovedì, mi ha scritto “Facciamo un’altra volta”
che – per come la vedo io – non era un’altra volta, era “non facciamo” e basta
mi è partita la fase pippone power.
E – come sempre – ho scritto a lui per scrivere e basta. Una gran fila di cagate.
Ma questo è irrilevante. Impezzare gente a caso è il mio modo di sfuggire alla noia. Ho dato un nickname al tizio? Non ricordo, lo chiameremo Tizio.
Avrei voluto scrivere a B e lo avrei fatto, non fosse che era nel pieno dei preparativi per il matrimonio e non volevo intristirlo/preoccuparlo/annoiarlo. Avremo tempo di sentirci tra qualche giorno.
B è l’unico che, sotto pippone, ha sempre risposto al fuoco con la stessa portata di seghe mentali. Poi arriverò anche a raccontarti del suo matrimonio di ieri.
Mi sono appena data un improbabile smalto con i brillantini, poi sovrappensiero ho appoggiato la guancia al pugno chiuso. Il mio nome è Jem! Papparapappaaa….
Tutto questo, per strada. Vabbé.
Direi che Tizio può essere lasciato stare, ma lo dico a oggi che sono tornata in me, che non ho più bisogno di una fuga mentale (almeno, fino alla prossima volta in cui ne avrò bisogno) e che ho un sacco di cose da fare. Quella domenica, non lo dicevo.
Che poi, in realtà ora mi viene in mente che il pippone power l’ho scritto lunedì, alla domenica ho solo risposto acida al suo messaggio e ho cancellato l’app su cui lo sentivo, perché sono diventata coscienziosa: bloccare le vie di comunicazione, quando si è fuori di testa.
Peccato che la tecnologia fornisca così tante alternative…
Dopo aver fatto sacchi a caso, mi sono buttata in doccia e ho aspettato che un amico venisse a recuperarmi, destinazione: campo da rugby per la partita dei ragazzi, che avremmo visto solo a metà perché poi c’era da andare nel padovano al battesimo di questo puteo, figlio di un ex rugbista dei nostri.
A preoccuparci di andare alla cerimonia siamo stati solo in due:
io, la bestemmiatrice miscredente
e l’amico che guidava, l’Ebreo Ateo.
Domenica ho pensato un po’ anche a P, che tu vedesti solo di sfuggita una sera di un paio d’anni fa e dicesti che non ti piaceva neanche un po’. E a me sì, ma si sa che ho pessimo gusto.
Giocava ed ero un po’ triste: si vede che non sta bene. Ha un collo messo parecchio male, e si ostina a ficcarlo contro la spalla di un avversario e a spingere. Mi spiace molto.
Ad ogni modo, abbiamo abbandonato la partita e preso l’autostrada, direzione: Abbazzzia di Stocazzo.
Dopo nemmeno esserci mai persi, arriviamo in ‘sto posto da matti, bellissimo e supercupo, assistiamo alla mezza messa con il coro più stonato del mondo intero e parliamo del più e del meno con parenti del nostro amico.
Poi, via al rinfresco.
Ora: io non ho mai indagato sullo stato patrimoniale dei miei amici. Non mi interessa, non mi riguarda e son fatti loro
però devo ammettere che, se lo avessi fatto, avrei potuto immaginare cosa mi aspettava:
un Bat-matrimonio.
Senza supereroi ma pieno di superfigetti.
Ogni tre secondi mi veniva da parlare del mio amico chiamandolo “Lo sposo”, e non ero l’unica.
Adesso devo andare.