Ine, amica ed ex coinquilina, mi ha chiesto se non fosse strano per me, trovarsi immersa in un lutto non mio, ad attraversarlo passo passo con i legittimi proprietari.
Solo in parte. Una caratteristica che possiedo da quando ricordo, è la capacità di mescolarmi completamente con l’ambiente in cui mi trovo. Tra le frasi che mi sono sentita rivolgere più spesso, c’è: “È come se tu fossi qui da sempre“. Ine stessa me lo disse, dopo due giorni di coabitazione.
Suppongo dipenda dall’essere cresciuta divisa tra tante persone, tante famiglie spesso in violento contrasto tra loro. Le stesse dinamiche che mi hanno tagliato in più parti la personalità, mi hanno abituata ad identificare la struttura portante dei contesti e ad adattarmici in fretta. In più, come dico sempre, gli esseri umani non sono originali quanto amano credere.
Quando ieri siamo passati dal clima gelido e tutto sommato intimo della camera ardente, alla larga platea dello spazio davanti alla chiesa, mi sono limitata a seguire la scia. La nonna di Alck mi ha portata per mano a dove voleva sedessi, la sua mamma – per non sentirsi gravare sul figlio – si è fatta stringere anche da me, il nonno mi ha tenuta per mano all’uscita, quando tanti sconosciuti gli porgevano le condoglianze, così potevamo sorprenderci in due.
La cosa più strana è stata la crescente sensazione di conoscere lui, il papà di Alck.
Io penso di sapere, come sia perdere un papà: l’unico che ho avuto è stato mio nonno, avevo sei anni. Quello formalmente mio, l’ho visto meno di un centesimo di quanto abbia visto i miei zii, ingerenze comprese: portarmi da una parte all’altra, in vacanza o dal medico che fosse, preoccuparsi che andassi dal dentista, parlare con gli insegnanti, chiedermi come sto. Lo hanno fatto sempre altri famigliari, dopo i miei nonni.
Così, negli anni, sulla base dei ricordi che conservo, ho cercato di ricostruirlo aggiungendo le storie degli altri, ascoltando attentamente ogni aneddoto, accumulando le foto, incontrando chi lo ha conosciuto. Per avere un’idea di lui, come potrebbe averla un adulto.
Per certi versi, questi giorni hanno somigliato a quelli delle mie ricerche nel passato del “mio papà“.
Quando è morto, ero troppo piccola per partecipare al funerale (secondo la mia famiglia, io non l’ho mai mandato giù) e questi giorni somigliano tanto alle descrizioni dei miei familiari, che non mi sono sentita fuori posto. Come qualcosa che prima o poi avrei dovuto recuperare.
Spesso si sente dire che ognuno reagisce al dolore a modo proprio. Io non la penso esattamente così.
Ho conosciuto cinque bisnonni su otto, mi hanno accudita almeno altre quattro famiglie di anziani della via oltre alla mia, ho perso qualche amico: ne ho visti, di funerali.
Il dolore è lo stesso per chi resta, il dolore ha sempre la stessa forma: una linea divisoria tra il tempo prima e il tempo dopo, che ti si chiude attorno e ti si cuce dentro.
Adesso, posso toccare Alck, gli posso parlare, ma la sua mente si trova chiusa in un luogo dove non posso arrivare.
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