Preoccupazioni riflesse

B., che ho nominato di recente, non è in formissima.

Considerate una grossolana descrizione del personaggio: trentenne di 1,95 d’altezza, moro, sportivo di lunga data, tratti marcati e occhi bruni che si assottigliano tantissimo quando ride.

Non so bene il perché di questa sensazione, ma quando “vedo” lui abbattuto, mi fa più effetto. Deve aver a che fare con questa apparenza solida, invincibile.

E scrivo “vedo” perché lui è dall’altra parte del mondo e sua moglie E. qui, e dovrà sottoporsi a un esame per verificare che il cosetto nella pancia non stia facendo cazzate.

Tubo neurale di merda. Una volta che si chiudesse e ripiegasse come cazzo deve, senza fare tante storie.

Avete presente come ci formiamo?

Non è da una palla (quella serve anche a fare un po’ di placenta e altri annessi embrionali)

ma da tre strati di cellule, tre foglietti impilati (si chiamano proprio così) che si arrotolano per fare un tubo

poi il tubo si piega a “C” e quello è l’embrione in posa da fagiolo. Poi sbucano gambe e braccia, ma al momento non ce ne strafrega una minchia (comunque ci sono).

Siamo un tubo di fogli e ammennicoli vari, a dare spessore.

Ovviamente, durante l’avvolgimento, ai tre foglietti vengono velleità da origami e formano figure varie e fantasiose

e quando queste figure sembrano non riuscire, quando si tratta di cervello, il grado di paranoia aumenta esponenzialmente. Giustamente.

Però i feti sono poi cosetti strani: piccoli, indifesi, ma dotati di tutta la potenza di cui un umano può disporre: si sistemano, riprovano, rifanno. Succede di continuo e neanche lo sappiamo, ma si preparano a entrare in scena: ci sta, una qualche indecisione su posa e look.

Quindi siedo in corriera, me la faccio sotto perché so che tutto tornerà di certo a posto, ma diciamo che mi si stanno un po’ rifacendo il look i polmoni e non riesco a inspirare proprio del tutto…

Adesso vi racconto questa (4) OGGI

[…]

Così, archiviati i transitori malumori, ho incontrato Kin e Cicci, che mi hanno parlato più diffusamente di questo progetto: un piccolo magazine online, per trattare quanto secondo loro, i siti più consolidati tendono a tralasciare:

iniziative piccole ma interessanti, punti di vista godibili, spunti misti e – in generale – qualunque cosa possa meritare un’occhiata o una lettura.

Le mie scarse doti di sintesi, forse non rendono giustizia al concetto.

Comunque, all’inizio, non mi era chiaro il grado di accuratezza con cui l’idea era stata impostata, invece la storia è proprio ben articolata.

Alla fine, dopo svariate chiacchiere e settimane, cose brutte e relativa difficoltà a produrre scritti di senso compiuto, abbiamo trovato un senso a quello che avrei potuto scrivere per loro.

L’accordo è stato siglato a dovere.

Post come questo mi hanno sempre lasciato la voglia di spiegare cose di scienza che ho imparato studiando, con la personalità che troppo spesso non gli si riconosce;

in fondo sono convinta che, se da un lato è la chiave di lettura umana a obbligare un certo inquadramento, d’altra parte è come funzioniamo, a impostare la chiave di lettura stessa (suppongo di averla copiata a Kant).

Un gatto che si morde la coda, insomma: siamo fatti così perché funzioniamo così, o funzioniamo in un certo modo perché è così che siamo fatti?

Non aver ancora trangugiato il mio canonico litro di caffè, mi rende vagheggiante.

Mi mancava un posto dove ficcare le mie fantasie sul tema:

come ci corrono i segnali dentro, l’orchestra di minuscoli ottoni (per modo di dire: vincono Sodio, Potassio, Cloro, Calcio, Zinco eccetera) che dà spettacolo in ogni istante della nostra esistenza, i ciuffi di corrente in frenetico sbuffo dentro di noi.

Senza dilungarmi oltre, ora un posto ce l’ho.

Ed è anche fico.

E sarà online oggi alle 12.00.

Beh, devo dirlo: nonostante la mia scarsa inclinazione all’entusiasmo

quasi quasi, non vedo l’ora.

Adesso vi racconto questa (3)

[…]

Pur essendomi ingastrita non poco, ho evitato di cagare troppo il cazzo: l’amica in questione (e in comune) ha un bimbo piccolo, un lavoro full time da pendolare e un compagno che fa un lavoro con orari molesti.

“Scusa scusa scusa, ero convinta di esserci arrivata dai social anche io, al tuo blog!”

Insomma, capita e capìta.

Sulle prime, l’onda del fastidio mi ha portata a non considerare neanche l’idea, di questo progetto a cui ero stata candidata, inconsapevole e svestita.

Poi, piano piano, la curiosità l’ha avuta vinta e la vanità l’ha un po’ spinta.

‘Sta ragazza, la ex di Alck che ha anche un nome (che non useremo, ma lo fingeremo): Kin, l’ho sentita

mi ha detto che le piace come scrivo

e che se avessi partecipato, avrei potuto scrivere di quello che mi pareva, grossomodo a mio piacimento

e basta così: ero già a bordo.

Qualunque cosa, per un complimento 🤷🏼‍♀️

[…]

Adesso vi dico questa (2)

[…]

Abbastanza stupita dunque, mando lo screen dell’aggiunta social, all’unica amica che so di avere in comune con questa ex morosa di Alck.

Screen con la notifica e una faccina dubbiosa, niente di che

lei mi risponde tutta garrula, qualcosa tipo: “Ah sì, ho scordato di dirtelo! Sono stata io a dirle di aggiungerti: lei e un’amica stanno avviando un magazine online e cercano gente che scriva, quindi

le ho passato

il tuo

WordPress”.

Il mio WordPress senza nome, da cui non si arriva tramite i miei social con il nome, dove scrivo cose per lo più personali

a una tipa che conosco solo per un ovvio grado di separazione…

Diciamo che – sulle prime – non l’ho presa benissimo

e neanche dopo.

[…]

Adesso vi dico questa (1)

Qualche settimana fa, mi sono incazzata a morte.

Una sensazione strana: quando sembro arrabbiata, ho solo in carica una certa personalità che è fatta così, che si sente infuocata e non conosce altro modo di essere

arrabbiarsi ex novo invece, è particolarmente sgradevole e può arrivare a far venire il mal di testa (ricordo che, fuori di sbalzi patologici, ho scarsa dimestichezza con le emozioni base)

(sfigata).

Comunque, il tutto inizia quando mi aggiunge su Instagram l’ex morosa di Alck.

Strano” penso, “i miei social sono pubblici. Fosse curiosa di farsi i cazzi miei, non avrebbe bisogno di aggiungersi ai contatti”.

A dire il vero, mi pareva strano ugualmente: i miei social sono pubblici e – soprattutto – di cazzi miei, sopra non ce ne sono.

Quello che sapevo io di lei era: la giovane età, che per qualche anno era stata la morosa di Alck, l’insospettabile origine estera e che si erano lasciati, due anni prima che lo impezzassi io. Dato minimo di rito, sulla storia più recente.

Non c’erano state sovrapposizioni, non c’erano motivi di aver a che fare e non mi veniva in mente niente, al di fuori di Alck, che ci potesse collegare.

[…]

Aggiornamenti sparsi a puntate – 5

I bambini mi sono sempre piaciuti, specie perché dotati di quell’irresistibile caratteristica che li rende perfetti: sono figli di altri. Ma ci passerei ugualmente le ore: le modalità con cui interagiscono, mi ipnotizzano. Finisce quasi sempre che si stancano prima loro di me che io di loro, e mentre scrivo questa frase mi vengono in mente un paio di ex che mi rinfacciavano di trattarli come bambini. Curioso: anche io rinfacciavo loro la stessa cosa, eppure non è servito, quel trovarsi d’accordo.

L’oratorio a noleggio è una macchina del tempo che mi riporta con la memoria a quello che ero abituata a frequentare io (proprio con la memoria e basta, perché manco morta ci rimetto piede) e il retro – ammantato di nebbia e sbuffi di fumo speziato – è una porta che sembra aprirsi sul parcheggio di un locale per adolescenti che frequentavo 15 anni fa.

Alck pascola, chiacchiera, ogni tanto lo perdo di vista e viene a cercarmi. Come se le chiavi della macchina non le avesse lui.

“Ma dove vuoi che vada?” gli dico.

“Ma che ne so!”

Ogni tanto sento, da sotto, un “Ciao Tenerina!” ed è Filippo, entusiasta, che si è divertito a decidermi il nome e prova gusto a dribblarmi le tibie e frullarmi tra i piedi. Si è – subodoro – divertito meno suo padre, personaggio dall’aspetto simpatico con cui penso bene di rompere il ghiaccio parlando di masturbazione infantile, mezz’ora fa.

Tra una chiacchiera e l’altra e più bicchieri del necessario, tutto procede (con una piccola parentesi di child watching insieme ad Alck e scherzi con bimbi) fino a una chiacchierata piacevole con la mamma di Filippo (la mia tipa preferita della serata).

Andiamo a casa (di Alck). È la prima volta che dormiamo insieme da quando è successo, è la prima volta da quando siamo iniziati, che vuole addormentarsi abbracciati.

[…]

Aggiornamenti sparsi a puntate – 4 (Capodanno)

Non faccio in tempo ad entrare nella sala dell’oratorio affittata per il veglione, che soldi di cacio mi ruzzolano sui piedi. Diversi amici di Alck si sono riprodotti, un paio ha iniziato addirittura una decina di anni fa, altri più di recente. Così, i genitori stanno a tavola o fuori a fumare e a turno qualcuno si inabissa nel turbolento marasma di nani.

Noi abbiamo già cenato da sua mamma, che non vedeva l’ora di cacciarci perché il figlio si alleggerisse un po’. Sugo di pesce molto buono.

Alck nei giorni prima non era molto dell’idea. “Passiamo al volo a fare gli auguri e andiamo via”. Ma mi aspettavo non sarebbe andata così, basta che lui non capisca che ho capito e tutto finisce per andare come immagino.

Il primo che conosco entrando è un Filippo, che deve avere sui cinque anni ed è molto carino. Ha dei begli occhi, capelli lisci e scuri e sembra molto delicato. Chiede come mi chiamo e ci stringiamo la mano. Dietro di lui, due donne sulla trentina con l’aria rassicurante delle matriarche, che probabilmente smetterebbe di di apparire tali se sapessero che le ho definite così. Ma il mio è un complimento.

Tra l’altro, una delle due gli domanda – dopo i convenevoli tra grandi – “Ti ricordi come si chiama la ragazza di Alck?”. Lui, gongolando da sotto in su come spesso fanno i bimbi, sorride e dice “No!”

Allora gli chiedo quale sia un nome di femmina che gli piace. Scuote il caschetto di capelli neri, in effetti è legittimo che non sappia rispondere.

Rilancio: “Dimmi il nome di un dolce che ti piace!”

Su questo, non ha esitazioni: “Tenerina!”

“D’accordo, allora visto che quello te lo ricordi di sicuro, stasera mi chiamo così”.

[…]

Aggiornamenti sparsi a puntate – 3 (paturnie paterne)

A volte mi sembra ancora strano che il papà di Alck sia morto. Ero così abituata a sentirne parlare, ai continui segni della sua presenza nella vita del figlio, che ogni tanto la realtà mi viene in mente all’improvviso e mi coglie impreparata.

Per contro, questo Natale ho deciso che non c’è più bisogno io perda fegato e tempo a preoccuparmi del “mio”.

Ho cercato di giustificare per anni i moti di nausea e fastidio che mi provocava, passare tempo con lui. Una repulsione epidermica. Mi urta profondamente ricordare qualunque contatto fisico che lo riguardi. Mi fa schifo.

Mi rendo conto non sia carino dichiararlo, ma è così che mi sento. Presumo sia naturale, quando il riassunto accurato degli incontri con un “genitore” è:

  • ricordarmi che non era minimamente sua intenzione concepirmi, nonostante in fondo gli stia simpatica
  • sputare merda su chi mi ha disordinatamente cresciuta, attribuendo ad altri la responsabilità di non esserci mai stato.

Anche basta, con le puttanate. Non vedere quel genio dal 26 dicembre 2017 mi è tanto piaciuto, che ho pensato di continuare.

Quindi, il 26 – giorno che anni fa fu battezzato di rito per il pranzo dai nonni paterni – non mi sono presentata.

Poi era l’unico giorno libero di Alck e siamo stata a pranzo da sua mamma, che è davvero una persona gradevole: non mi sarebbero toccate ore a mordermi la lingua e a sentirmi di merda.

Ovviamente i nonni lo sapevano e ho passato con loro qualche ora il 25. Loro sono stati i miei nonni sul serio: mi hanno portata appresso a pescare, in campagna, a casa, in piscina, a volte anche dal dottore. Ho passato con loro del tempo, che mi dedicavano. Il figlio non c’era mai, in queste occasioni. Troppo impegnato a fare il fenomeno con la figa da due soldi di turno, a fare lanci con il paracadute e a pippare come un idiota.

Il senso di rigetto che mi provoca averci tutto questo DNA in comune, neanche so descriverlo. È potente.

Beh, stavolta, anziché infliggermi la solita crisi di nervi delle feste, ho scelto.

Se devo essere sincera, erano due decenni che non passavo un Natale – pur intristito dalla perdita del papà di Alck – tanto sereno.

Se questo discorso avesse senso, direi che è morto quello sbagliato.

[…]