Discrepanze

C’è Alck carico come una mina, perché oggi è andato in una caffetteria che apre domani a sistemare le macchine, le grammature e tutte quelle cose lì

quindi ha bevuto una quindicina di espressi e mi manda messaggi a raffica, perché a lui i messaggi non piacciono (preferisce chiamare) e a me non piacciono sempre le chiamate, quindi finiamo per mandarci essenzialmente faccine:

Io, stanca morta, sono in fase emo:

Io… boh.

Il mio primo commento negativo su youtube! E un nuovo incontro

Che figata eh.

In realtà il commento è di più di una settimana fa ma nell’ultima decina di giorni il mio umore non era in formissima: avevo provato a fare un video di risposta (anche P che non è social ma usa YT mi ha detto che si fa così)

(questo è il video sotto al quale è arrivato il commento guasto)

il mio tentativo si era tradotto in una sòla, una perdita di tempo e la cosa non aveva aiutato la giornata

quindi ho lasciato passare altri giorni.

Ieri ho preso il caffè con una persona della zona conosciuta su FB, una donna con diagnosi di una certa imponenza sulla carta. Ammetto che non sapevo cosa aspettarmi, perché l’avevo letta molto contrariata dal mio primo video, in seguito a condivisione su social, quindi era un interrogativo.

Ho trovato ad aspettarmi al tavolino del bar in cui ci eravamo date appuntamento, una persona delicata, sensibile, molto conscia dei pesi usati facendo il bilancio della propria vita.

A. ha una voce soave che sembra scusarsi dell’essere uscita, tanti nodi dentro e la capacità di raccontarli partendo dai fili in comune con chi ha davanti.

Racconterò meglio di lei in un altro momento, adesso volevo solo scrivere che è stato il caffè insieme a riappacificarmi con l’umore storto degli ultimi giorni, con l’ultimo bisticcio avuto io e Alck, con la fatica di tenere su una traiettoria molto precisa i miei programmi.

Quindi, molto più tranquilla di quanto avessi abozzato nella brutta copia precedente, grazie ad A. ho risposto in modo molto più vicino a come intendevo fare fin dall’inizio:

Ve lo ricordate P?

“Beh puoi dare un ulteriore contributo autoimmune alla famiglia”

“Esatto, in un mondo ideale potremmo mettere su un esercito e conquistare il mondo: ‘L’Invasione degli Anticorpi'”

Settimane fa avevo scritto a P per chiedergli se rivolesse un (bruttino) libro suo che – causa trasloco infinito – mi era capitato tra le mani spostando cose. Non avevo realizzato di averlo ancora io.

Il mio messaggio era finito nel vuoto. Non avendo ricevuto risposta, non ci ho più pensato.

Dopo parecchi giorni mi ha riscritto, dicendo che gli era sfuggito e che potevo tenerlo. Abbiamo chiacchierato un po’, a più riprese, e proprio poco fa gli stavo raccontando di dicembre, del papà di Alck.

Nella scala dei tempi del lutto non è passato poi molto tempo e le conseguenze sono ancora molto presenti e sempre più faticose da tenere a mente, come chiave di lettura.

Comunque, dopo l’iniziale scambio, avevo chiesto ad Alck – che mi pare si sforzi di interpretare una flessibilità non sentitissima ma onesta – come dovevo regolarmi: gli dava noia che sentissi un ex?

Preferiva saperlo?

Preferiva non saperlo?

Ovviamente nessuna delle mie domande era una richiesta di permesso: per come la vedo io, sento chi mi pare e lo stesso vale per lui (anche nell’ipotesi di averne fastidio), perché altri rapporti archiviati e sepolti anni prima che iniziasse quello corrente, non lintrovo minacce per il presente.

Lì trovo parte della propria identità.

Mi ha fatto piacere poter raccontare ex novo la storia di dicembre a qualcuno che mi ha conosciuta bene e che non si fa remore a commentare la mia posizione nella vicenda. È stato un ricapitolare dall’inizio, per rimettere in ordine i pensieri.

Insomma, dopo aver partecipato come special guest a una serie di paturnie davvero imbarazzanti (per me che le producevo), mi fa piacere che P si sia prestato alla chiacchiera di prospettiva.

Mi piace, ogni tanto, recuperare la confidenza del passato (non avendo mai concluso una frequentazione con grosse brutture) e ritrovare uno scampolo di confidenza. È rassicurante pensare che gli psicodrammi si sistemano anche fuori dalla famiglia, fuori da obbligo formale

e che – tutto sommato – non sono mai stata tanto fusa da spendere pensieri su qualcuno che non capisse un cazzo.

Anziano un po’ strano

C’è un tipo curioso tra i miei contatti di Facebook: un anziano ossuto che – credo di ricordare – abita in Trentino. Mi sembra abbia detto facesse il giardiniere e che, a tutt’oggi, passi le sue giornate nella natura. Penso anche abbia una moglie. La vedo al suo fianco nelle foto occasionali con prato e fiori sullo sfondo, sorridente, mentre lui – a dispetto dell’immancabile berretto – si direbbe sempre avere il sole in faccia.

Questo tipo, non so bene il perché, ha preso la simpatica abitudine di mandarmi ogni mattina il buongiorno, dopo pranzo il buon pomeriggio, sul desinare un buona serata che solo occasionalmente comprende anche la buonanotte. Se ha fretta, ho immaginato. Altrimenti la compieta arriva più tardi con l’ennesimo messaggio tutto per sé.

Uno stillicidio.

Alterno, verso questa furibonda scarica di implacabili auguri, un senso di odio che si alterna a comprensione (spietatamente scemata da quando ho appreso che non è solo al mondo), passando per insofferenza, istinti violenti e propositi zen di armonia e gentilezza.

Più che altro perché a chiedergli di smettere ci ho provato. Servito a qualcosa? Certo: a intensificare la cadenza (prima il buon pomeriggio non me lo mandava!)

Nemmeno rispondere lo placa. ANZI.

Incredibile, quanto minuscole, gocciformi, gentili brutture, somministrate al ritmo di uno stucchevole farmaco, riescano a urtarmi i nervi. Ma rispondo, come fosse l’espiazione per qualche malefatta che nessuno ha scoperto.

Mi fa tornare in mente un altro anziano signore, che per… mi viene da dire un decennio, ogni sera telefonava a mia nonna.

Lo detestavo.

Già ero adolescente, già ero sgangherata, già all’epoca il telefono di casa era ancora un dispositivo ambitissimo dagli abitanti e l’orario in cui questo interlocutore si palesava cadeva proprio nella finestra temporale fondamentale ai tempi delle superiori: quella in cui ci si aggiornava sugli attesissimi risvolti pomeridiani delle nostre vite avvincenti.

Chi aveva limonato chi?

La tipa con il perizoma di fuori era stata affrontata a muso duro come preannunciato?

Quali coppie di viveur con il permesso di stare fuori a ora di cena erano sfilate alle giostre?

Ditemi voi come poteva essere ultimata la preparazione per il giorno dopo, altrimenti?

Niente. Quell’insensibile signore dalla voce triste e dal tono educato, chiamava una sera dopo l’altra, del tutto ignaro del danno arrecato, ripetendo sempre la stessa formula con il suo timbro grattato dal tempo:

“Buonasera, sono Chissà, c’è la signora?”

Finché è morto.

Ogni tanto mi torna in mente. Non ricordo chi fosse, né la sua storia (nonostante mia nonna me l’abbia accennata più volte). Nemmeno so perché questo tassello di decenni passati mi sia risalito così prepotente da doverlo segnare qui, considerato che il mio auguratore seriale non ha poi molto in comune con il telefonatore defunto.

Ho smesso da un po’ di forzare un senso sui singhiozzi di storia, mia o di altri, se non viene da sé

quindi concludo con l’unica cosa che riesco a sapere: sospirando di noia, continuo a rispondere agli inutili auguri

foss’anche soltanto perché ho imparato così.

Com’è andato il primo video

Prima che mi scordi, questo è il link al secondo video.

Le reazioni al primo sono state molte più di quante mi sarei aspettata:

in diversi mi hanno raccontato la loro esperienza e ho chiesto il permesso per parlarne in futuro: per quanto scomoda, la mia vicende è estremamente più semplice di quella di troppi altri

e ho avuto il privilegio di ogni occasione per tentativi di ripresa che mi sia servita.

Poi c’è tutto il discorso che, per una serie di ragioni, io posso sentirmi a mio agio nel parlarne

altri no, sia perché la loro condizione clinica non è comoda per niente, sia perché troppo spaventosa o dolorosa l’idea di sottoporsi al giudizio degli altri.

Tutti sentimenti assolutamente rispettabili e motivati, per questo mi pare il caso che chi – come me – è nella condizione di farlo, dovrebbe adoperarsi un po’ e tentare di diluire questo senso di diffidenza e scoramento che accompagna l’argomento.

Mi è capitato di triggerare un paio di persone, che si sono sentite punte da come ho posto la questione, in qualche post sparso per la rete

ci siamo messi a posto in due minuti, nessun problema, ma lo sforzo di scegliere le parole è abbastanza… imponente.

Io capisco molto bene le persone (il più delle volte) quando le ho di fronte però. Difficile regolarsi mentre ci si sente idioti fissando un cellulare di traverso.

Ma va bene, anzi: benissimo. È così che si impara, solo che mi spiace non poter dire tutto insieme perché molte delle osservazioni o commenti che ho ricevuto – in privato soprattutto – sono cose di cui a mia volta sono convinta

ma non potendo fare un kolossal dei pipponi, verranno fuori mano a mano.

La cosa più soddisfacente è stato vedere che – esattamente come al bar – sono tanti ad aver voglia di parlare di salute della mente, di ricerca del benessere e anche di psichiatra e psicoterapeuta.

La cosa che mi sta facendo più impressione è che YouTube Italia non mi sta suggerendo video simili e temo significhi che non ce ne sono.

Mi spiego:

per tenere vivo l’Inglese (e anche perché sono pochi i video interessanti in Italiano che ho incrociato nel tempo) sono abituata a seguire canali stranieri.

In inglese c’è di tutto: trash, didattico, brillante, formativo, informativo, racconti e così via.

Pensavo che la carestia di video interessanti dal nostro Paese, fosse più che altro una questione di algoritmo: il sito sa che io guardo certe cose in una certa lingua e mi mostra quelle, supponevo.

Invece… nonostante con l’account che sto usando io guardi per lo più video nostrani… non mi arrivano grandi suggerimenti. Qualche grosso, grossissimo canale (Breaking Italy, Montimagno, Bressanini quando pubblica, Butac, Tia Taylor che però fa video in inglese perché americana trapiantata….) e il resto sono pettegolezzi e bisticci.

Al momento la cosa mi deprime parecchio, spero sia solo una mia percezione fuorviata.

Vedremo cosa succederà con i prossimi, nel frattempo ho chiesto a una psichiatra (diventata cara amica in quanto mamma di un’amica storica) di fare aperitivo per carpire qualche suggerimento e chiedere un paio di dritte.

Visti i gravi problemi che affliggono la mia capacità di “montaggio“, forse sarebbe il caso di pagare da bere anche a un videomaker

FUNFACT: non posso modificare l’immagine statica del video

e la cosa già inizia a risultare… interessante!

(E INGUARDABILE!)

Dopo molto tempo abbiamo parlato di nuovo (1/2)

Era da parecchio che non mi fermavo proprio da lui, il tipo che lavora nella mia via e che incontrai in sala d’aspetto all’Igiene Mentale. Mi sembrava di non vederlo più, per strada o dentro al suo negozio.

Ad un certo punto ero quasi preoccupata – considerati i discorsi che gli avevo sentito fare – poi l’ho visto di lontano un paio di volte e mi sembrava in forma. Per quel senso d’importanza che ci diamo come scusa a girare il nostro sguardo, più di una volta ho tirato dritto apposta: non mi andava di parlare.

Però l’altro giorno mi sono fermata, per una tappa veloce prima di avviarmi verso casa di Alck.

“Oh ciao!” mi ha detto, mentre pistolava non so cosa su un bloc notes.

“Allora? Come va?” gli ho chiesto, dato che – odiosamente, per chi come me ha manie d’interpretazione altrui – è un tipo sulle prime imperscrutabile.

“Ma bene sai? È un pezzo che non ci vediamo”

“Infatti: ogni volta che butto l’occhio nella vetrina, non ti vedo mai”

“Perché adesso lascio fare tutto ai miei dipendenti, piuttosto non metto via niente ma faccio cose che mi piacciono e appena ho un giorno libero vado alle terme!

Sono stato anche a tanti concerti e sto bene”

[…]