Dato che ci sono cose che mi piace scrivere e che vorrei far leggere anche ad altri
ma non da questo blog
e che sono chiaramente inadatta a scrivere in posti che non siano miei
ne ho aperto un altro.
Se volete è qui.
Dato che ci sono cose che mi piace scrivere e che vorrei far leggere anche ad altri
ma non da questo blog
e che sono chiaramente inadatta a scrivere in posti che non siano miei
ne ho aperto un altro.
Se volete è qui.
Quando sei ragazzino, la lingua che usi per parlare d’amore è totalitaria e definitiva.
Qualunque gesto non contemplato dal tuo dizionario non deve esistere, è un errore, l’imperdonabile sbavatura di un compagno di giochi impreparato.
Non esistono incomprensioni: solo tradimenti, quasi peggiori se verso principi;
ogni convinzione è scolpita nella roccia, perché serve un appiglio incrollabile che trattenga a galla durante la tempesta di amori, fantasmi umori e ormoni, che non lasci affondare in un oceano disperato e soffocante.
Oggi, il massimo di energie che sono disposta a spendere in una discussione puramente sentimentale è: “Sisi va bene, taci”
specie perché gran parte delle cose che si dicono, contano un cazzo.
Parla quello che scegli di fare, il resto è un sottofondo più o meno divertente, più o meno interessante.
Se lo avessi saputo prima, quanto profondamente è enorme e sprecata l’energia spesa a pensare parole, mantenerle fedeli e risucchiare dall’altro la stessa ortodossia
avrei mandato a fanculo tutto e forse vinto un Nobel.
Ma non è vero: ognuno ha passatempi di merda. C’è chi si gonfia i muscoli in palestra e chi si gonfia cuore, stomaco, palle e testa e non è che una cosa abbia più senso dell’altra.
“Quindi?! Hai passato la tua balena bianca!”
“Sì…”
“Beh non sei contenta?!”
“No… cioè sì… nel senso: passare un esame non è che mi abbia mai fatta contenta”
“Vabé ma questo…!”
“Sì… è che ancora non mi sembra vero. E poi sono un po’ triste: è come se fosse finita un’era”
“Un’era buia”
“Sì, ma comunque… è come se tutto fosse finito”
“Vabé, comunque hai gli altri esami da fare e poi la laurea!”
“Sì… ma non è la stessa cosa”.
(l’immagine è un richiamo sottile)
Ho sentito chiamare il mondo, l’esterno da noi, “l’Infinito”.
Che strano: a me sembra tanto piccolo e ripetitivo, da non poter condividere neanche una frazione di questa definizione
mica per l’esterno – hai voglia, a definirlo -, solo perché può esserci qualunque cosa là fuori
ma noi siamo vicoli ciechi, piccole parentesi tonde capaci di gonfiarsi come palloncini da valvole standardizzate, fino a un volume massimo.
Se esiste qualcosa di infinito, noi non l’abbiamo mai visto
né siamo fatti per riuscirci.