Non mi viene praticamente mai da scrivere di Alck. Per più di un motivo.
Prima di tutto, gli starebbe seriamente sul cazzo. Cioè, come quasi sempre succede quando si realizza qualcosa che sostiene stargli molto sul cazzo, probabilmente storcerebbe brevemente il naso e poi passerebbe oltre. Abbiamo idee molto diverse sulle conseguenze degli avvenimenti che ci stanno molto sul cazzo.
Poi perché un po’ di gente che lo conosce e mi conosce, potrebbe leggerne e sapere qualcosa che penso in relazione a lui, prima di lui stesso. E questo gli farebbe l’effetto che fanno a me, le cose che mi stanno seriamente sul cazzo.
Ci sono un realismo e una lealtà diversi, con Alck, rispetto ai tizi dei miei sproloqui precedenti. Di anni, di sproloqui precedenti.
Con loro è un po’ come se non fossi mai stata. Non per disprezzo: ero troppo persa nelle mie narrazioni interne, e loro personaggi pittoreschi e interessanti, magicamente comparsi sulla mia strada per recitare puntuali camei, in quella sega mentale infinita che è la mia insulsa esistenza.
Se mi guardo indietro, è come se quelle storie le avessi immaginate. Quando qualcuna delle iniziali puntate dalle storie passate mi viene in mente, non riesco a mettere fuoco una sega. Non ci sono ricordi tattili, odori, un’identità tangibile di qualcosa vissuto. È come se fossero personaggi di un libro letto da un po’.
E poi, la menata messa in piedi, era sempre noiosa, sempre la stessa. Cosa che ha spiegazione molto semplice: avevo realizzato, in un momento ben circoscritto, che io ero fatta per essere un personaggio secondario. Servirà qualcosa di grosso, per superare l’entità del sollievo espirato quando ho capito che certe cose avrei potuto non farle. Feste di compleanno, feste per altri motivi, matrimonio in chiesa, matrimonio in generale, occasioni di famiglia. Curiosamente, non ho realizzato le cose in quest’ordine, né nello stesso momento. Gli intrecci di significati che legano i concetti, non sono gli stessi nella testa e nel dizionario. Comunque, l’idea di trovarmi al centro dell’attenzione, fin da quando ero piccola, mi provocava una sensazione opprimente e odiosa, che solo di recente ho imparato a chiamare “ansia”. È dovuta cessare e poi tornare a distanza di tempo, perché mi rendessi conto di cos’era quel sottofondo costante. Vabbè, ci si abitua, almeno in parte. Ma solo scrivere e ricordare che ci sono cose che ho imparato presto a odiare, che posso non fare, mi fa sentire benissimo.
Quindi ho sempre pilotato queste vicende interpersonali su rotte drammatiche ma modeste, traiettorie prevedibili e ripetitive, rappresentazioni già note (perché poi avevo da rappresentare una cosa da risolvere nel subconscio e bla bla bla) e non mi sono fatta problemi a parlare di questi ruoli improbabili, condivisi (spesso) sentimenti burrascosi e gigionate ridicole. Cioè: cosa gliene dovrà mai fregare agli interpreti – più o meno collaborativi o partecipi, perché bastavano incontri ridottissimi a impostare il kolossal – di una sega mentale continua, di quello che scrivo di loro? Sono pure parte di un intreccio marginale: impossibile dare importanza a qualcosa del genere.
Credo che a questo punto dovrei sentirmi in colpa, ma non sta succedendo. Vabbè, vedete? Sono cose inutili, è una perdita di tempo solo ripensarci. Se proprio, è gradevole pensare alle amicizie che da quelle scenate sono iniziate, il resto è noia.
Adesso è diverso. È diverso perché, mentre lo ignoro e scrivo, e lui cerca di attirare discretamente l’attenzione (“Vuoi delle patatine?”, “Buono questo vino”) perché si sente in colpa (poi glielo dico che stavo scrivendo, così non si offende: noto che manca poco), onestamente non avverto più il breve rigurgito di sclero di mezz’ora fa. Adesso, incredibilmente, mi sento del tutto separata da quelle emozioni. Adesso, che ho rimuginato e scritto in silenzio per un po’, riflettendo, per quanto tutti i miei teoremi precedenti dicano che la situazione è gravissima e il problema enorme, è come se tutto sommato non me ne fregasse un granché. Non è quello il punto, o giù di lì.
Questa cosa che Alck sia una persona vera, e non una comparsa che intrallazza con la co-co-coprotagonista di una storiella incolore, mi stupisce di continuo da due anni. E non mi va di… non so, mi sono distratta a metà frase. Una cosa tipo: non mi va di sentirmi irrispettosa, sleale.
Sono molto confusa. Però in realtà no. Persino Scanzi e Veltroni, a mezzobusto in scala 1:1 sulla tv di fronte a me, sembrano più concreti di quella che sono stata fino a poco tempo fa. Che strano il tempo. Credo di avere un principio di calo di zuccheri. Vado a cenare.