Refolo

Ogni tanto mi si appanna qualcosa.

Si appanna, scompare come qualcosa di mai esistito ma sai che è una bugia della mente: c’era, fino a due o trecento minuti fa, e d’improvviso sparisce. Sparisce senza che tu te ne accorga, come i morti quando sei bambino.

Le colonne vanamente slanciate del supermercato in periferia, un semaforo col singhiozzo della sera; nel parcheggio dopo il tramonto solo i mostri a braccetto senza denti, ragazzini in bicicletta, io e quell’aria crudele che non mi dice più niente. La stessa aria delle notti se in estate pedalavo fino fuori dalle mura medievali, che colpisce la pelle sempre allo stesso modo; non importa la direzione: riporta sempre nello stesso posto, quello che non esiste più.

Ha smesso di trasportami, ha smesso di pizzicare fino a sentire la malinconia pungente di un tempo e il resto del giorno lascia spazio alla malinconia di un altro.

Non avevo mai sentito insistere sulla pelle la malinconia del futuro, mano a mano che le sue mura di carne e ossa crollano in avanscoperta e la diga si schiude. Un’angoscia più tetra, più triste e inevitabile.

Di tutti i tempi conosciuti, il futuro è l’unico da cui non esiste via di fuga.

Dolore e no

A distinguere una ferita improvvisa da un malessere cronico, è il dolore.

Vale in medicina, vale in generale: il dolore accompagna il danno subitaneo, rapido;

l’alterazione che si instaura in modo lento e subdolo non la riusciamo ad avvertire ma produce un danno cronico, protratto, capace di causare alterazioni determinanti e irreversibili.

È una distinzione crudele e ipnotica, se ci si ferma a pensarla: il dolore è capace di suscitare solidarietà ed empatia, enormi rispetto alle briciole che una situazione protratta accende.

E così la condizione che più spesso è facilmente reversibile, quella improvvisa che causa il dolore, riceve ondate d’attenzione e presenza

mentre le condizioni radicate, lente, che generalmente producono danni tanto più vasti e profondi, passano inosservate.

È così in medicina, è così nei rapporti umani, è così nei sentimenti.

ed è strano come le parole a volte chiudano dentro

Non è sempre facile capire a chi stia mentendo qualcuno, e poche cose sono fastidiose come interpretare il danno accidentale delle balle che qualcuno racconta a se stesso. Come se non si fosse abbastanza rilevanti nemmeno per meritare una bugia tutta per sé.

Però la cosa che fa male-male, malissimo, è l’incertezza. Non siamo fatti per sopravvivere a lungo su un terreno incerto, pronto ad abbandonarci al primo passo falso. Come stare troppo a lungo su una tavoletta propriocettiva causa davvero dolore muscolare, stare troppo a lungo tutti tesi col timore di veder scomparire le cose attorno a sé, fa male a molto del resto.

Da quando io e Alck abbiamo parlato l’ultima volta, la mia testa è più ospitale. Ho tolto più ragni, ho buttato via cose, lavato per terra più di quanto abbia mai fatto.

L’equilibrio è una cosa che si può dare per scontata solo quando c’è.

Un termine volubile che vuol farsi passare per quello che non è

Non è una cazzata la teoria secondo la quale chi è single dopo i 30 anni ha qualcosa che non va.

Ovviamente dire che non è una cazzata differisce dal prenderla come verità assoluta. Si tratta solo di una frase generica che trova applicazione in molti casi, pur considerando le diverse situazioni.

C’è chi si ritrova single perché ha avuto altre priorità, chi per deliberata merdezza altrui (tradimenti, di qualunque genere) o propria, chi tragicamente per morte o malattie disastrose, eccetera eccetera eccetera. C’è anche il non aver trovato la persona giusta al momento giusto.

Trovo che un modo più sensato di metterla giù sia: chi è single, dopo i 30 anni, verosimilmente ha qualcosa che non va nella direzione ottimale per una relazione.

A rendere difficile il viraggio necessario sono tanti fattori, che ho provato a scrivere ma sono noiosi quindi li diamo per noti perché tanto li sappiamo.

Per un sacco di tempo io ho creduto di dover volere una relazione, ad esempio. Altre persone la vogliono, a patto che le loro inverosimili aspettative siano soddisfatte, che è solo un modo rapido per giustificare il rimanere soli, teoricamente proprio malgrado.

Ma anche qui tagliamo il para-pippone (il paragrafo pippone) perché insomma sticazzi.

L’ho detto qualche settimana fa: non voglio sputtanare troppo i fatti di Alck, quello che pensa e le sue questioni personali. Ci basti sapere che, messo davanti a domande scomode, è sempre sincero e, per quanto io possa trovare assurde alcune sue motivazioni, i suoi turbamenti non hanno meno dignità solo perché ha avuto più fortune di quante ne abbia avute io o molte altre persone.

L’altra sera abbiamo passato insieme cinque ore tra le più utili da quando stiamo insieme. Tutti (o quasi) discorsi che avevamo già fatto, ma ci eravamo sempre fermati a un piano sopra rispetto al quale avremmo dovuto attraccare.

Abbiamo parlato, io soprattutto, e fino alla quarta ora ho pensato davvero che ci stessimo lasciando. Perché, per quanto ci avessi provato, non avevo trovato motivi validi per continuare. O motivi validi per farmi trattare così: come se non avessi alcuna importanza per lui. Cosa che gli avevano rinfacciato tutte le sue ex (“Ma scusa, tu non sei un ritardato, mi spieghi come cazzo fai a comportarti ancora così se sono dieci anni che te lo dicono?!”)

Devo dire che mi sono piaciuta: mi è piaciuto non andare in modalità autodemolizione totale come facevo una volta; mi è piaciuto smettere di pesare le parole e dire tutto quello che volevo; mi è piaciuto riconoscermi il diritto di pretendere (roba piccola eh, e appunto per quello necessaria). E devo dire che non mi è piaciuto tutto quello che mi sono sentita rispondere, ma una cosa di Alck mi piace sempre: quando capisce, capisce davvero. Poi a volte dimentica, ma insomma.

Praticamente, lui dava per scontato che a ‘na certa ci saremmo lasciati (cioè che io lo avrei lasciato) e quindi andava bene non esagerare con il legame.

“Ah, quindi tu mi hai trattata così per un anno e mezzo (sarebbero due e mezzo ma un anno di lutto mi pare umano riconoscerlo) perché pensavi me ne sarei andata. E su che base scusa? Ma tu hai idea della fatica che ho fatto? Quindi secondo te ha senso tenere in ostaggio qualcuno per anni, fingendo di esserci anche tu dentro al rapporto, quando alla fine non-fai di tutto per farlo andare male e avere la conferma che sì: finisci lasciato?”

Ma siamo andati d’accordo: d’accordo all’inizio che ci saremmo lasciati e d’accordo alla fine che non lo avremmo fatto. Alck è la prima persona che — quando c’è — non mi fa venire voglia di essere qualcun altro. Anche se in quel momento non gli sto piacendo per qualche ragione. È stato così anche in quelle cinque ore di dilaniamenti emotivi palleggiati. Tutto considerato, mi pare un motivo valido per restare. A patto che intenda restare anche lui.