Il tempo dei mesi scorsi mi stava appiccicato su ogni pezzo di pelle come una guaina plastica. Non respiro da più di un anno, per farla drammatica. Per farla realistica, è da prima della pandemia che mi è partito un senso di costruzione polmonare che mi lascia raramente. Come se i polmoni non volessero allargarsi, offesi da chissà quale delle troppe sigarette.
Sono andata dalla mia dottoressa, che è un tipo spiccio. Mi ha auscultata e proposto un ex adiuvantibus: dato che sospettava fosse ansia, provare una benzodiazepina (classe di farmaci che si usa contro l’ansia) per vedere se il sintomo regrediva. “Ex adiuvantibus” vuol dire “beneficio a posteriori” (forse non letteralmente, non ricordo il Latino, ma il senso è quello) ed è un sistema di verifica efficace, specie se non è il momento di farsi visitare in ospedale potendolo evitare.
Lo raccontavo alla G., mamma di un’amica, psichiatra in pensione, durante un caffè che abbiamo preso quando la zona era gialla.
“Ah è anche la mia dottoressa” mi ha detto. E abbiamo parlato di quanto fossero frequenti i sintomi fisici da ansia, perché ora si sa – anche se non è noto al grande pubblico – che l’ansia è proprio una questione di eccitabilità nervosa: i nervi sono iperattivi, iper reattivi e per nulla accomodanti. Tanta gente gira medici su medici quando il problema di fondo è l’ansia (e comunque fa bene a controllare che non si sa mai, ma dopo più di un controllo negativo andrebbe presa in considerazione).
“E com’è andata?” mi ha chiesto, in riferimento alla regressione del sintomo.
“Non lo so: mi è venuta la diarrea e non ci ho più pensato”
“Ma è un effetto collaterale rarissimo”
“Ed è difficilissimo farla in apnea”.
Comunque la mia saturazione va bene e riesco a correre, quando sono libera dal cesso, quindi tutto nella norma.
Un’effetto collaterale della psicoterapia però non lo avevo ponderato, non me lo aspettavo
e lo lascio in sospeso da dire domani, perché voglio un motivo, un La per tornare.