Mi rode scrivere di situazioni del tempo in cui c’era ancora Alck, soprattutto in questi giorni, perché negli ultimi due ci ho litigato. Io: non “Abbiamo” litigato, l’ho fatto da sola, come la gran parte delle cose mentre stavo con lui. Bella merda.
Comunque, quella mattina presto di foschia azzurrina estiva, in cui il mio difetto d’attenzione mi aveva regalato la solita mirabolante esperienza di sentirmi a Narnia pur trovandomi semplicemente in una culandia qualunque appena sotto al Po, arrivo davanti allo stabilimento con il pathos di un’Indiana Jones scampata al Tempio Maledetto
parcheggio a bordo strada, tra la carreggiata e una discarica di pneumatici, sentendomi una consumata avventuriera e ricordando al furgoncino di fare il bravo in mia assenza, che era un attimo finire lì
suono il campanello con 10 decorosi minuti d’anticipo… suono un’altra volta, e poi ancora
non mi caga nessuno.
Panico.
L’allure in cui mi ero immeritatamente calata evapora in un istante, come cazzo faccio…?
Corro attorno al cancello, ma non so dove perché è l’unica entrata di cui sono a conoscenza, sudo, suono di nuovo, salgo sul cancello e stendo il collo oltre. Nessuno. Ripeto il procedimento quattro volte, magari scatta l’incantesimo.
Suono ancora, urlo, ma il clangore e lo sferragliare che smaniano dalle porticine del grande prefabbricato, aperte per dissipare l’afa della notte estiva, mi fanno un dito medio: cosa potrà mai un misero “Buzzzzzz” contro l’armata spaccatimpani? (Allora cazzo lo mettete a fare…? Ma Vabé).
C’è troppo rumore, nessuno sente ‘na sega.
Poi, a un certo punto, l’eroico “Buzzzzz” scatta un’ultima volta dal campanello lungo il filo, scarta la scarica di frastuono che invade l’interno, subito prima che le macchine ricarichino le munizioni, e arriva alle orecchie giuste.
Le orecchie sono di Marica, quaranta e qualcosenne, biondotta, piccolotta e mediotta, che mentre parla ogni tanto socchiude le palpebre e intanto guarda verso l’alto.
Non ho mai conosciuto una persona normale che faccia quel gesto lì.