Sicuramente sbaglio, ma nella mia testa l’universo maschile e quello femminile si bilanciano vicendevolmente.
Per una mera questione culturale che assegna ai due sessi, peculiarità caratteristiche.
E io, che sono misantropa, tollero meglio un po’ dell’uno e un po’ dell’altro, che da un certo punto di vista è un po’ come se si annullassero a vicenda.
Le lesbiche, sono doppia dose.
Durante l’adolescenza in modo particolare perché – non so che genitori abbiate avuto voi – ma per me non era contemplata l’ipotesi di stare da sola con un mucchio di maschi a mangiare, dormire, vegetare insieme chiusi in casa per giorni interi senza sorveglianza alcuna.
Questo per dire che, fosse andata diversamente, avrei le turbe pure su i gay.
Comunque, la storia della mia amica poi è proceduta tranquillamente, tra i normali alti e bassi di qualunque coppia immersa in un gruppo di amici, solo con molte, moltissime, parole in più.
Poi io e lei litigammo, non ricordiamo per cosa, e non ci parlammo per un paio d’anni, ritrovandoci poi quando – entrambe single – ci siamo messe assieme.
No, scherzo.
Ma siamo tornate amiche.
E qui si apre il capitolo successivo di cosa non sopporto dell’universo Lesbodrama: una volta che ci si lascia, hanno l’odiosa fissazione di voler restare
tutte
amiche.
Il mio ingresso nel mondo lesbo è iniziato alla nascita, molti anni fa: il mondo è uno solo e possiamo dargli tutti i nomi che ci pare, far finta che ce ne siano di più è una cosa che può funzionare per la Marvel o per chi partecipa a quegli strani giochi di ruolo con i dadi dotati di un numero irragionevole di facce. Per quanto riguarda gli altri, mi spiace comunicarvi che siamo tutti sulla stessa barca.
La prima volta che ho avuto a che fare con una paranoia legata all’omosessualità femminile è stato durante la mia adolescenza, così è stato un po’ l’avere un posto in prima fila ad un evento cardine che mai avrei vissuto altrimenti: accorgersi che il proprio orientamento sessuale non è quello atteso. Un plot twist che conferisce alla protagonista una marea di rotture di minchia vita-natural-durante.
Un’amica, di qualche anno più grande, parte della compagnia di cisaroli innocenti e compiti che popolava il nostro oratorio, non poteva più nascondere la chiara attrazione che provava nei confronti della patata, rispetto al vago disgusto e netto disinteresse sollevati dalla carota. Viste le carote sul mercato da quelle parti, non mi sono mai sentita di darle torto.
Comunque, ci teneva a comunicarlo alle persone che riteneva importanti nella sua vita. Una per una. Ufficialmente, drammaticamente. E perché mai sprecare tanto pathos per un solo spettatore? Io, in qualità di supporto morale, l’avrei accompagnata nel suo coming out (che non sapevo si chiamasse così, ammesso si chiami così) volta per volta.
Persona
per
persona.
Purtroppo per me, aveva un sacco di amici.
(Non fraintendetemi: ero assolutamente solidale le prime quattro volte che la sentivo tergiversare avvolta in una nuvola di fumo sui sedili intrisi di catrame e Bionsen della sua Fiat Bravo per circa venti minuti. La quarta replica rende insensibili quasi a tutto, compreso Titanic, alla sesta Benigni ne La vita è bella, forse un po’ lo avresti picchiato anche tu).
Funzionava così: la mia amica dava appuntamento all’interlocutrice (erano per lo più ragazze) di turno, con un SMS che inevitabilmente si concludeva in un “ti devo dire una cosa difficile”, l’equivalente interpersonale di un avviso di garanzia, considerata l’età.
L’amica e io, in assetto da psicobulle emotive, caricavamo l’ignara vittima e la conducevamo sempre alla stessa destinazione: il piccolo spiazzo erboso di fianco al cimitero cittadino, appena fuori dal paese.
Allegria!
Il cimitero è questo sul serio, noi andavamo a destra, da un lato le tombe e dall’altro i campi. Quanta poesia.
In quelle fredde e brumose notti emiliane, la mia amica – una persona adorabile ma estremamente prolissa – stendeva l’interlocutrice con panegirici allucinogeni che portavano noi dell’uditorio in una dimensione parallela, popolata da criceti parlanti
che giravano dentro rotelle parlanti, uccidendo neuroni altresì parlanti
– sto iniziando a considerare l’ipotesi che in realtà le sventurate non ricordino molto, di quelle serate –
per poi giungere al punto.
“Insomma, sono lesbica”
L’interlocutore giaceva immobile con la bava alla bocca sul sedile posteriore (passeggero anteriore era occupato da me) e dava il suo feedback.
Top 5:
5. Ah, ok
4. Ah, ma dai
3. Beh se va bene a te…
2. Ma non è vero!
1. …Tutto qui? Ma dai, mi avete fatto prendere un colpo, pensavo vi foste messe insieme voi due!
Io non sopporto le lesbiche.
O meglio, non sopporto la maggior parte delle oscure pratiche che si accompagnano alla vita di una tipica lesbica della mia città – giocare a calcetto, muoversi in branco diviso per orientamento sessuale, rimanere amica
con
ogni
singola
ex.
Io, ‘sta cosa non la capisco.
Poi conosco persone normali, che con le ex non vanno d’accordo
COM’ÈGIUSTOCHESIA
(quando il modo con cui ci si è lasciate, lo esige).
Ieri sera parlavo con alcune compagne di squadra, dopo allenamento. Ero l’unica a non avere questo problema.
Ebbene sì, PROBLEMA. L’omosessualità nello sport è un problema:
una persona pratica discipline sportive per scaricarsi, per passione, per fare gruppo e dio solo sa cosa
e servono concentrazione, condizione, motivazione e un sacco di altre cose banalmente in rima
ma se sei omosessuale
ti trovi ogni-ex-in-campo. Spesso è proprio lo sport che le ha fatte conoscere, cementato l’unione, fatto da argomento nei primi, imbarazzanti e tesi incontri, poi CIAONE.
E si rimane così, smollate
ma
con
Ho cercato “Lesbian ex” su Google e questo è quello che ne è uscito, insieme ad altre tizie sconosciute
una quantità illegale di ex da affrontare.
A rugby poi, terribile: devi anche toccarle! Fossi lesbica, la sera prima di una partita andrei a investirle con la macchina perché un paio di palle che ci gioco.
(Questa frase è il risultato di traumi infantili, asilo religioso e Dawson’s Creek. L’unico aspetto positivo della mia eterosessualità è il non essere in galera).
Voglio dire, non è già abbastanza difficile rientrare in un categoria di persone in cui tutti vogliono esprimere opinioni sull’impiego che fai dei tuoi sentimenti e dei tuoi genitali, anche le ex in campo??
No, non ce la potrei mai fare.
Motivo per cui, dopo questa introduzione, andrò a raccontare i lesbodrama – o lesbodrammi, come vi pare – che hanno sistematicamente afflitto il mio universo in questi anni, sperando che nessuna delle mie amiche legga mai queste pagine perché altrimenti finisce che prendo un sacco d’insolenze.