Comunque andrà, sarà un processo – Mal di testa

I concetti di colpa e responsabilità perdono di significato all’aumentare delle dimensioni dell’evento a cui sono riferiti.

Un litigio? Dei malintesi? Intere esistenze?

Si allarga l’orizzonte e questi significati mano a mano, rimpiccioliscono.

Allora diventa una scelta, fatta più o meno consciamente, serbare rancore per un giorno passato, restare arrabbiati da un appuntamento mancato, piangere ancora e scegliere indietro.

Fin da bambina, il centro dei miei pensieri era la domanda: “Perché?”

Il motivo chiariva, tranquillizzava; identificarlo dava – ogni tanto – la possibilità di gestirlo, modificarlo. E, quando non riusciva, di odiarlo.

Senza prendersela con le persone.

Perché non posso? Perché i miei genitori non sono mai con me? Perché il nonno è morto? Perché a scuola non riesco a stare con gli altri? Perché ieri mi avete sgridato? Perché oggi mi avete sgridato per il contrario? Perché sto sempre da sola.

A volte mi chiedo se essere stata una bambina precoce non mi abbia remato contro.

Crescendo, la rete di salvataggio dei perché mi si è stretta addosso: io ero l’orizzonte, e la fila di piccole domande un brulichìo di insetti impossibile da gestire, che mi camminavano sopra e entravano dentro. Tutti ce li hanno, ma non ci pensano sempre.

Perché la mia vita è stata quel che è stata, fino adesso? E che importanza ha, in termini di responsabilità?

Senza che me ne accorgessi, la miriade di bestioline ha preso la forma di un giudice implacabile, e gira e rigira, il colpevole ero sempre io.

Il fatto che la vita sia un processo non deve voler dire a ogni passo una sentenza.

Guarda quanto fotte il cervello dei bambini, la semantica.

A tutte le single sofferenti

Io sola son stata quei famosi sette anni.
Ero piccola: poco meno di 22 anni e uscivo da una storia di cinque anni e mezzo.
Avevo in sostanza, passato un quarto della mia vita con la presenza costante di M e abituarsi a stare sola è stato un trauma, anche perché ero zero indipendente in termini personali, poi avevo rogne di salute strambe, una famiglia imponente da sopportare e una serie di cose che hanno un po’ tutti.
Ognuno ha li cazzi sua.

Quindi, in parte per questo disagio da abbandono, in parte per altre rogne, ho mandato a scatafascio di tutto: studi, vita lavorativa, amicizie, rapporti coi parenti.
Una persona di merda.
Ho anche riempito il vuoto con pessime idee, pessimi personaggi passeggeri che parevano più crisi mistiche che altro etc.

Poi, miracolosamente, ho trovato il modo per essere felice per i fatti miei.
Di recente, molto di recente, ma l’enormità del tempo che ci ho impiegato non è dovuta alla storia finita ere fa, era per altri cazzi.

Uno – in realtà molti – dei luoghi comuni sui rapporti è vero: quando sei felice, ti succedono cose più belle.
Incontri persone che sono magicamente bendisposte nei tuoi confronti rispetto a quando eri triste, sei e ti senti più apprezzata e bla bla bla.

Capita anche che incontri qualcuno con cui ti trovi bene, che ti fa ridere, ti sbatte a destra e sinistra e ti sfancula senza motivo apparente ma a te interessa poco perché il tuo stare bene non dipende più dall’avere o non avere un partner, ma da tutto il resto.

Ora, capita anche – come nel mio caso – di iniziare ad avere a che fare con qualcuno in modo da dirsi ad un certo punto che si è una coppia.

E non voglio stare a dilungarmi nell’ennesima lamentela che ormai sono agra di scrivere menate.
Sarò breve:

quando si sta bene, si sta meglio single.

Giuro.

Provate di stare bene, non avete bisogno di un lui.

Imparate a stare bene voi e sarà una figata.

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