Sono sempre più convinta che le persone dovrebbero raggrupparsi soprattutto per compatibilità di linguaggio, anziché riporre estenuanti aspettative nella compatibilità d’interessi. Quando si parla la stessa lingua si può decidere di piacersi o meno, capendosi anche quando si fanno cose diverse; quando ci si piace perché piacciono le stesse cose, basta che un’attività venga meno, per qualunque motivo, che cala anche il piacere per l’altro.
Ripenso ai tempi delle vacanze di comitiva, delle serate passate appoggiati agli scooter di fronte alla chiesa, alle domeniche di carnevale, ubriachi fradici nel multiforme corteo colorato composto quasi solo da disturbatori e non da persone appropriatamente in costume.
Se mi avessero detto allora che questa persona sarebbe stata una di quelle con cui poter parlare capendosi… probabilmente avrei continuato a bere perché era l’attività prevalente in quel periodo, ma non ci avrei creduto.
Non ci abbiamo messo molto, per telefono, ad arrivare al punto.
“Mi hanno ricoverato perché ci ho provato, avevo chiesto a M. se l’alcol e il mio sonnifero insieme fossero una cosa pericolosa e lui mi ha detto di non farlo, che era letalissimo, ma secondo me mi ha preso per il culo! Mi sono svegliato!”
Abbiamo parlato molto, con lui che mi chiedeva se poteva bere questo o l’altro detergente per la casa, e io che gli alzavo gran medi via etere: “Se ti vuoi ammazzare, stocazzo che sarò io a dirti come”.
“Ma io sono stanco”.
Quello che tante persone non hanno ben chiaro, è che non si desidera la morte per tristezza o per dolore; almeno, non di frequente. Dolore, tristezza, rabbia, sono spinte in avanti, flussi nel corpo che guidano i passi. Spesso nella direzione peggiore, ma è pur sempre un movimento. È meno probabile che qualcuno arrivi ad uccidersi per queste ragioni.
Di solito chi vuole morire annaspa in uno stantio senso d’impotenza dovuto alla perdita di ogni energia e resta immobile lì, senza poter fare nulla, con una nebbia fitta davanti e lo sguardo che può volgersi solo, disperatamente, all’indietro.
Il resto della telefonata è stato composto più che altro da miei ragionamenti motivatori, alcuni a segno, altri destinati a cadere nel vuoto, e da sue domande, come:
“Ma se bevo 150 ml di amuchina?”
Sono grata alla prontezza di M. e alla struttura chimica dei nuovi sonniferi, ma ho una domanda che mi rimbalza di cuore in pancia da molto tempo. Penso di averla già fatta, in un altro post, ma non ho il coraggio di andarmi a rileggere perché oggi ho paura di ammettere quello che penso davvero.