La mia domanda su la chimica di base, Satana e bla bla – 4

Il giorno successivo all’ultimo post, la chiamata con l’amico era andata bene. Sospettosamente bene.

Quello che secondo me i depressi non riescono ad accettare – e da facente parte della categoria, pur priva di complicazione psicotica, mi associo – è la ricaduta.

Nei momenti di ripresa, il sollievo per il recupero della propria funzionalità, della presenza al mondo e dei ritrovati desideri verso il vivere sociale, deflagrano nel petto con tale tepore che i nuovi segni di freddo cedimento passano sotto silenzio. Che vuoi che sia, ci siamo chiesti tutti, prima che la malattia trovasse il tempo di rispondere.

È che non ce la si fa a rialzarsi ogni volta, con la necessaria fiducia verso la terapia e i farmaci.

Una ricaduta, poi di nuovo un senso di benessere, poi una nuova ricaduta, poi un aggravio… si smette di crederci, al poter stare bene. Le gambe perdono la spinta al portarti dove vuoi, perché non importa dove sarai: il tuo cervello ti tradirà ancora e ancora, e ancora.

Mi piace stare al telefono mentre faccio la spesa, a dispetto delle inevitabili dimenticanze che comporta, così per me è abbastanza frequente telefonare agli amici per due chiacchiere, tra uno scaffale e un’imprecazione per il lievito introvabile.

“Dai, non demoralizzarti troppo”

“Ma che vita è questa? Sono stanco…”

“È la vita che al momento sta subendo la gran parte della popolazione! Approfittane! Pensa che ci sono tanti, anche se per motivi diversi, costretti a rallentare, che si trovano nella tua stessa identica condizione o nella mia. Hai l’occasione per vederla come una tabula rasa”

“Sì…”

“Cos’è che ti piacerebbe fare? Scegli una cosa e inizia, anche bestemmiando, mettitici di fronte e pensa a quali desideri ti vengono in mente!”

La chiamata è stata lunga e avevamo già parlato di altre cose: il rapporto con gli amici, la mancanza di qualcuno con cui dividere l’esistenza, ma sono fermamente – forse troppo – convinta che non si possano delegare agli altri gli obiettivi della nostra felicità; o far affidamento sull’altrui comportamento per giustificare la perdita della voglia di lottare. Tutto lineare, a parole.

Ma i fatti sono diversi.

Nella realtà, la mente continua a correre verso il punto di sollievo più vicino. È economia biologica, una forma di bilancio umano che deve tener conto di una quantità finita di energie.

Nella realtà di un depresso, i propositi possono galvanizzarti un giorno, l’esperienza fidata di una strana amica lontana hanno un’eco che si spegne presto.

La realtà di un depresso è un inferno di neuroni dirottati.

Così, chiusa una telefonata densa di fiducia, suggellata da una voce contenta e qualche risata, il mattino successivo è tornato a ricordare che le belle parole possono aiutare per lo spazio di un minuto, una manciata di respiri.

E non passa un’ora, che sul petto, di nuovo, grava un peso che sprofonda. Si finisce sotto alla terra che gli altri calpestano.

Di qui, la mia domanda.

Come si fa a dire a qualcuno che capisci, anche troppo, di non compiere gesti azzardati?

Quale significato dovrebbe avere la spinta a continuare verso un avanti che non esiste?

È da tanto che penso a questo discorso e anche se (forse) mi sono già data qualche risposta

non lo so, è una forma di dubbio che non si esaurisce mai.

La chimica di base, Satana, il suicidio – 2

Questo è il messaggio con cui si è aperto, pochi giorni fa, il capitolo corrente. Erano mesi che non avevo sue notizie, e onestamente avevo paura di farmi sentire; sia per il timore di rivedere in lui qualcosa che non va anche in me – la splendida autoreferenzialità dell’ansia – sia per l’insopportabile sensazione di repulsione all’idea di una sua ricaduta: sapevo cosa sarebbe successo, fin dall’inizio. Sapevo che le ricadute ci sarebbero state e sapevo che le avrebbe dovuto affrontare solo, sapevo che avrebbe smesso di credere al poter stare meglio. Francamente, una tale portata di dolore è troppo per me. La sento come se fosse mia, mi immobilizza come se stesse succedendo a me ed è sempre stato così anche per questioni meno gravi: non posso essere toccata da attacchi frontali in alcun modo; non esiste sgarbo che mi si possa fare capace di atterrarmi; ma la disillusione degli altri davanti a una terribile, nuova consapevolezza, è un’ondata che mi annega.

Guardare qualcuno che ha appena capito come la sua vita non potrà mai essere è come osservare una persona che fissa il cadavere di quanto ha più caro, dell’unica cosa che la faceva sperare. Non lo so… è troppo.

Dopo un breve scambio di ripasso su acidi e basi forti, che mi terrorizzava a ogni informazione – volutamente vaga – che fornivo, mi ha raccontato di stare male di nuovo. Stava male, era preso male e aveva bisogno di parlare. Anche di incontrarci, assicurandomi che avrebbe mantenuto la distanza di sicurezza e tutti i crismi, riguardo a questa grottesca pandemia. Ma io non sono nello stesso comune: ero appena arrivata a casa di Alck, a una trentina di km, quando il blocco è cominciato. Qui sono restata.

“Dai, ti chiamo o ti videochiamo”

“Preferisco non lasciare tracce sul telefono”

Inizialmente, anni addietro, la sua psicosi si manifestò con manie di persecuzione (i suoi deliri sui social riguardavano le persone che, secondo lui, erano responsabili di tramare alle sue spalle). Comprensibile che una ricaduta pigiasse gli stessi tasti.

Alla fine ci siamo sentiti, siamo stati al telefono quasi un’ora prima che lui si stancasse. Così, per rompere il ghiaccio dopo tanto silenzio, mi ha raccontato del suo recente tentato suicidio.

Cos’è successo ieri

Penso di poter affermare con un buon margine di sicurezza di essere sbroccata.

Nel senso che mi è venuto uno sbalzo di umore come non ne avevo da un anno e mezzo.

Un sobbalzo di dentro che mi ha fatta sballinare. E posso provarlo: ho perso gli occhiali. In giro, non so dove. Non li troverò più.

L’ultima volta che mi è successo era luglio 2018 e ho perso il portafoglio e ho pianto in faccia a un autista e sono rimasta fissa sul divano senza mangiare per due giorni e mezzo. Sbrocco completo. Crisi di mezza psicoterapia, probabilmente.

Ieri no: a ora di sera, persi gli occhiali (che mi piacevano molto, numerose bestemmie) il tutto stava rientrando.

Gliel’ho anche detto ad Alck: “sono sbroccata e ce l’ho avuta per ore a morte con te”.

Perdo cose quando sbrocco, le perdo per assenza e per annegamento. Perdo anche qualunque tipo di fiducia, specie se già vacillante. Perdo di obiettività.

Oggi Alck mi ha accompagnata a comprare occhiali nuovi, non altrettanto belli ma fa lo stesso: era ora di cambiare, e tutte le cose di ieri c’erano ancora

solo più piccole e al loro posto.

Comunque – passatemi un piccolo rigurgito affettivo: grazie.

Quando mi sembra che tutto sia finito, questo è l’unico posto in cui abbia voglia di tornare (perché ci siete voi).

Com’è andato il primo video

Prima che mi scordi, questo è il link al secondo video.

Le reazioni al primo sono state molte più di quante mi sarei aspettata:

in diversi mi hanno raccontato la loro esperienza e ho chiesto il permesso per parlarne in futuro: per quanto scomoda, la mia vicende è estremamente più semplice di quella di troppi altri

e ho avuto il privilegio di ogni occasione per tentativi di ripresa che mi sia servita.

Poi c’è tutto il discorso che, per una serie di ragioni, io posso sentirmi a mio agio nel parlarne

altri no, sia perché la loro condizione clinica non è comoda per niente, sia perché troppo spaventosa o dolorosa l’idea di sottoporsi al giudizio degli altri.

Tutti sentimenti assolutamente rispettabili e motivati, per questo mi pare il caso che chi – come me – è nella condizione di farlo, dovrebbe adoperarsi un po’ e tentare di diluire questo senso di diffidenza e scoramento che accompagna l’argomento.

Mi è capitato di triggerare un paio di persone, che si sono sentite punte da come ho posto la questione, in qualche post sparso per la rete

ci siamo messi a posto in due minuti, nessun problema, ma lo sforzo di scegliere le parole è abbastanza… imponente.

Io capisco molto bene le persone (il più delle volte) quando le ho di fronte però. Difficile regolarsi mentre ci si sente idioti fissando un cellulare di traverso.

Ma va bene, anzi: benissimo. È così che si impara, solo che mi spiace non poter dire tutto insieme perché molte delle osservazioni o commenti che ho ricevuto – in privato soprattutto – sono cose di cui a mia volta sono convinta

ma non potendo fare un kolossal dei pipponi, verranno fuori mano a mano.

La cosa più soddisfacente è stato vedere che – esattamente come al bar – sono tanti ad aver voglia di parlare di salute della mente, di ricerca del benessere e anche di psichiatra e psicoterapeuta.

La cosa che mi sta facendo più impressione è che YouTube Italia non mi sta suggerendo video simili e temo significhi che non ce ne sono.

Mi spiego:

per tenere vivo l’Inglese (e anche perché sono pochi i video interessanti in Italiano che ho incrociato nel tempo) sono abituata a seguire canali stranieri.

In inglese c’è di tutto: trash, didattico, brillante, formativo, informativo, racconti e così via.

Pensavo che la carestia di video interessanti dal nostro Paese, fosse più che altro una questione di algoritmo: il sito sa che io guardo certe cose in una certa lingua e mi mostra quelle, supponevo.

Invece… nonostante con l’account che sto usando io guardi per lo più video nostrani… non mi arrivano grandi suggerimenti. Qualche grosso, grossissimo canale (Breaking Italy, Montimagno, Bressanini quando pubblica, Butac, Tia Taylor che però fa video in inglese perché americana trapiantata….) e il resto sono pettegolezzi e bisticci.

Al momento la cosa mi deprime parecchio, spero sia solo una mia percezione fuorviata.

Vedremo cosa succederà con i prossimi, nel frattempo ho chiesto a una psichiatra (diventata cara amica in quanto mamma di un’amica storica) di fare aperitivo per carpire qualche suggerimento e chiedere un paio di dritte.

Visti i gravi problemi che affliggono la mia capacità di “montaggio“, forse sarebbe il caso di pagare da bere anche a un videomaker

FUNFACT: non posso modificare l’immagine statica del video

e la cosa già inizia a risultare… interessante!

(E INGUARDABILE!)

Lo scrivo qui per obbligarmi a farlo – consigli ben accetti

Da ormai qualche mese mi ero proposta di registrare un paio di video.

Tra l’inizio da Zack e l’ancora precedente visita dal Dr Luke lo psichiatra, è un pezzo che la ripresa della salute mentale si è prepotentemente fatta strada nelle mie giornate.

E va là!

Come sempre, parlo relativamente poco di affari miei (preferisco scriverne) ma è anche vero che ho pochi filtri.

Quindi, se nei primi tempi mi veniva domandato come stessi o qualcun altro dei convenevoli che mi annoiano molto, rispondevo cose tipo “Mah, insomma: ho il cervello inceppato. Lo psichiatra dice che si può mettere a posto ma ci vorrà un po’”.

Oh: mi si fa una domanda, io rispondo. O vado via, dipende.

La solfa “ciao-bene-grazie-tu” mi fa venir voglia di prendere a schiaffi l’interlocutore, talmente l’ho sentita. Ed è anche profondamente ridicola per almeno un altro motivo: che le cose non vadano bene già è faticoso, fingere non sia così è ulteriormente faticoso e a me rompe infinitamente il cazzo parlare di nulla;

non so: a ‘sto punto martelliamoci direttamente i trillici a vicenda, quando c’incrociamo.

Se ho un po’ di tempo, mi piace aprire la strada:

Ciao! Come stai?!

– Insomma: mi hanno detto che sono matta, a parte questo tranqui. Tu?

– … ahah…ah, io… bene…

Ma “bene” COSA, che i tuoi muscoli del collo son più tesi dei tiranti di un tendone da circo e stai serrando tanto tra loro i molari per mantenere in postura il sorriso, che ti si sgretola la batteria di otturazioni.

– Ah sì? Sembri un po’ di fretta, tutto ok…?

(Il “di fretta” suona sempre meglio di “teso/a” o “stanco/a” e tendenzialmente le donne si agitano meno così: più di frequente le femmine preferiscono tentare di dissimulare rogne e fatiche, altro discorso con i maschi, a prescindere dal sesso poi dipende da persona a persona partendo dal presupposto che la confidenza non è molta).

BRAM!

A questo punto ti ascolti il problema o qualcosa che ci va vicino, incoraggi un po’ e l’altro se ne va un po’ meno peggio di come è arrivato. Almeno ha ricevuto interesse.

A parte le mie collaudatissime tecniche, la quantità di reticenza e terrore davanti a qualunque cosa riguardi il cervello, è tristemente ironica.

Siamo messi così male, che ci spaventa l’idea di prenderci cura del nostro cervello ma non delle nostre ginocchia.

Ora, capisco che sia desolante il numero di persone che usano più le rotule dei neuroni, ma insomma: non serve un gran volo pindarico per rendersi conto dell’ordine corretto delle priorità.

Non dico tutti dovrebbero andare in terapia, anche perché si tratta ingiustamente di un trattamento di lusso per ora, ma cercare di trattarsi meglio dentro al cranio con almeno un quinto dell’attenzione che mettiamo in quello che mangiamo, dovrebbe essere scontato.

Di qui, vista l’impossibilità di fermare tutti per strada per erogare lo stesso promemoria, considerata la facilità con cui si può realizzare, un qualche video sul tema a riguardo penso potrebbe aiutare.

Anche solo a sentirsi meno soli.

Solo che mi vergogno – vado forte live, ma in video… – e trovo scuse e non è immediato trovare un registro adatto a più persone alla volta.

Quindi, oggi inizio a provare e lo scrivo qui per prendere un impegno a scadenza entro la fine del mese (vorrei prepararne più di uno prima di metterne fuori).

Vediamo come va.

È una puttanata?