La chimica di base, Satana, il suicidio – 2

Questo è il messaggio con cui si è aperto, pochi giorni fa, il capitolo corrente. Erano mesi che non avevo sue notizie, e onestamente avevo paura di farmi sentire; sia per il timore di rivedere in lui qualcosa che non va anche in me – la splendida autoreferenzialità dell’ansia – sia per l’insopportabile sensazione di repulsione all’idea di una sua ricaduta: sapevo cosa sarebbe successo, fin dall’inizio. Sapevo che le ricadute ci sarebbero state e sapevo che le avrebbe dovuto affrontare solo, sapevo che avrebbe smesso di credere al poter stare meglio. Francamente, una tale portata di dolore è troppo per me. La sento come se fosse mia, mi immobilizza come se stesse succedendo a me ed è sempre stato così anche per questioni meno gravi: non posso essere toccata da attacchi frontali in alcun modo; non esiste sgarbo che mi si possa fare capace di atterrarmi; ma la disillusione degli altri davanti a una terribile, nuova consapevolezza, è un’ondata che mi annega.

Guardare qualcuno che ha appena capito come la sua vita non potrà mai essere è come osservare una persona che fissa il cadavere di quanto ha più caro, dell’unica cosa che la faceva sperare. Non lo so… è troppo.

Dopo un breve scambio di ripasso su acidi e basi forti, che mi terrorizzava a ogni informazione – volutamente vaga – che fornivo, mi ha raccontato di stare male di nuovo. Stava male, era preso male e aveva bisogno di parlare. Anche di incontrarci, assicurandomi che avrebbe mantenuto la distanza di sicurezza e tutti i crismi, riguardo a questa grottesca pandemia. Ma io non sono nello stesso comune: ero appena arrivata a casa di Alck, a una trentina di km, quando il blocco è cominciato. Qui sono restata.

“Dai, ti chiamo o ti videochiamo”

“Preferisco non lasciare tracce sul telefono”

Inizialmente, anni addietro, la sua psicosi si manifestò con manie di persecuzione (i suoi deliri sui social riguardavano le persone che, secondo lui, erano responsabili di tramare alle sue spalle). Comprensibile che una ricaduta pigiasse gli stessi tasti.

Alla fine ci siamo sentiti, siamo stati al telefono quasi un’ora prima che lui si stancasse. Così, per rompere il ghiaccio dopo tanto silenzio, mi ha raccontato del suo recente tentato suicidio.

And that’s all folks

L’amico penso più stretto che ho, oggi parte per qualche mese di lavoro all’estero.

Non ci siamo visti nelle ultime settimane e – come altri – è uno di quelli che è rimasto inaspettatamente con me nonostante la casuale convivenza universitaria si fosse conclusa.

Vale per lui come per Ine e Char: ex coinquiline e ora amiche per suppongo tutto il tempo che ci rimane.

Gli ho mandato un podcast di vocali, che ascolterà in volo e che non è rilevante segnarmi qui.

L’ultimo messaggio – superpippons – che gli ho scritto, però sì.

In parte perché è il mio blog e ci metto quello che mi pare (uscita reazionaria al sentirmi troppo concentrata su me stessa, quando probabilmente il problema è il contrario)

in parte perché un paio di cose riguardano timori che altri hanno sollevato parlando di terapia e cose del genere.

Here you are.

Considerazione finale:

tutta la fatica che mettevo nel cercare di attenermi a schemi non miei, mi ha rotto il cazzo e una decade ha abbondantemente dimostrato che non serve a una sega.

Non posso passare la vita a tenere imbrigliata una parte di cervello che vuole fare cose, perché funziona male quella che dovrebbe fare altre cose.

Avevo la paranoia che sistemarne una sarebbe andata a discapito dell’altra: sistemare l’efficienza sarebbe andato a discapito della mia arrancante identità. Pensavo di essere l’insieme dei miei casini, non di avere dei casini.

Non lo penso più, ora sono in incoraggiante riavvio entrambe.

Ho pensato molte volte di “stare meglio” ma era un meglio rispetto a un punto talmente basso, che persino lavarsi i capelli o arrivare al caffè senza desiderare di non esistere almeno dieci volte, poteva considerarsi un progresso.

Non è più così, e mi sento molto bene e ho tutta l’intenzione di continuare a sentirmici.

Metto in conto qualche ricaduta, sconforto e solitudine, ma ultimamente niente di tutto questo si è inghiottito giornate intere, né mi ha (completamente) tolto il sonno o le energie.

Mi sento bene, mi sento triste, mi sento stanca o carica per cose che non pensavo realisticamente di poter fare davvero. Il poco che riuscivo a concludere saltuariamente non mi rendeva mai contenta: non ero contenta di passare un esame, non ero contenta di raggiungere un risultato, non ero contenta dei lavoretti che facevo per tirare su due soldi.

Adesso è tutto molto diverso, o sono un po’ diversa io, ma insomma: in meglio.

Qualunque cosa mi faccia sentire meno di così, è qualcosa che non voglio attorno.

FINE

Primi effetti collaterali

Ieri sera, mentre ripensavo alla questione video (li farò, ma sul “come” continuerò a cambiare idea anche dopo l’upload, quindi pace)

declinavo a scopo “preparatorio” uno dei miei soliti monologhi allo specchio: trentacinque minuti in bagno da cui regolarmente esco dimenticando di lavarmi i denti.

Stavo disquisendo tra me e il bidet di come siano diverse ora le emozioni – prima un continuo su e giù stile torri gemelle di Mirabilandia – e di come il pugno monco di “Ti amo” pronunciati in vita mia, non valgano più.

Volevo bene ai disagiati a cui li ho detti, ma lo slancio e il trasporto, ora capisco, erano finti. Più che rinnegare è un “prendere atto”.

Perché, step successivo, la mia era solo ansia di fare le cose come andavano fatte: forse in quel modo, avrei ottenuto quello che dai miei familiari è sempre mancato. L’interesse nei miei confronti, l’esistere al di fuori delle loro aspettative e fisime su di me.

A volte mi sento ancora cretina a pormi il problema dopo tutto ‘sto tempo, eppure niente è cambiato: quando li deludo per loro smetto di esistere;

d’altra parte, nemmeno una volta un mio familiare ha mostrato interesse per me quando facevo qualcosa che mi piacesse davvero. E non riesco a dimenticarlo.

Zack tempo fa mi aveva fatto scegliere un ricordo per poi elaborarlo insieme, io ne ho pescato uno abbastanza plateale, perché riassumeva una parte del problema. Non è l’unico però.

Una cazzata: ho giocato a pallavolo qualcosa come 12 anni, da quando ne avevo 6 a più avanti.

Nessuno dei miei familiari ha visto una mia partita.

Nessuno è venuto.

Sono venuti ai due saggi di danza, quando ero piccola, in parte perché sarebbe stato illegale lasciarmi andare sola, in parte perché era quello che – per i canoni familiari – dovevo fare. Poi ho smesso (arrivavo là davanti e andavo via, come per il violino, come per la scuola fin dalle elementari) e il tutto è morto lì.

Avevo libertà limitatissima – in parte ci sta – però mi hanno mollata dalla prima elementare in auto con perfetti sconosciuti per andare a partite sparse in tutta la regione senza mai una volta venire con me.

Quando a loro piaceva l’attività, ero la nipotina bella & intelligente, quando l’attività era noiosa “ah ma non è mica mia figlia“.

Mi viene da piangere a dirlo, mi viene da piangere a scriverlo. Mi vergogno a sentire gli occhi che pizzicano per una cazzata del genere. Però ho appannato comunque gli occhiali.

Insomma: tante volte ho cercato disperatamente di trovare un modo perché agli altri interessasse di me. Tralascio tutto un capitolo infinito su come, le volte in cui ci sono riuscita, regolarmente sono impazzita, suppongo per aver mosso un coperchio di piombo che schiacciava una frustrazione troppo grande, per essere punzecchiata da facezie così.

Dunque, avanti ancora, ostinarsi a cercare attenzione da chi sai non te la vorrà mai dare è un’eterna condizione a cui io sola mi condanno e insieme e l’unico modo che conosco per sentire un legame verso qualcuno.

Improvvisamente, e davvero non avrei voluto, mi è poppato in mente Alck. Che, per la fila di questioni sue, di cui ho già detto non spiegherò i dettagli qui, fatica ad accettare l’esistenza di qualcuno che non sia in funzione di lui stesso.

Mi sono sentita triste.

Perché – salto mille passaggi di ulteriori botte e risposte tra me e lo scaldabagno – lui è così, una parte troppo grande di quello che mi ha coinvolta di lui, pesca da lì.

E una cosa del genere, io non la voglio più. In teoria.

Nelle scorse settimane, l’arrabbiatura (sana) nei suoi confronti l’avevo placata ragionando su come fosse la sua prima volta nel mettere a fuoco e vocalizzare le paturnie che teneva sedate dentro di sé.

Mi fido di lui e so che – in ogni caso – non sarà mai volontario il farmi del male (relativo) o trattarmi di merda (sotterraneo)

però, voluto o meno, lo rifarà.

Adesso – step ancora – ho capito perché Alck non piace al mio Protettore Distaccato: vede solo se stesso.

E – secondo la teoria degli schemi – il Protettore Distaccato è lì al dichiarato scopo di allontanare le fonti di dolore. Ha già il suo bel da fare con tutto quel passato, figuriamoci se deve mettersi a difendermi da qualcuno che è appena arrivato.

Qualcuno che vede solo se stesso e me in funzione di lui, è esattamente il problema attorno a cui ho perso senno ed energie per tutta la vita.

D’altra parte (qui i rimbalzi tra me e il bicchiere degli spazzolini li segno tutti), ci tengo ad Alck e non è che questi mesi siano stati una sequela di drammi, no.

Ma nemmeno sono stati granché. Mi sono sentita molto sola.

E sì, abbiamo finalmente iniziato a parlare e a conoscerci, ma una cosa tanto difficile vale la pena ostinarsi a edificarla?

Da un lato penso di sì: l’ho già scritto qui

ma tra i due estremi del filo conduttore, non so dove mi trovo:

per qualcuno a cui si tiene vale la pena mettersi lì e lavorarci insieme

o è l’ennesimo fondo perduto in cui sputtanare mesi o anni?

Qual è il limite del sano o ragionevole e dove inizia il patologico?

Cosa sia sano e cosa no, non mi toglie il sonno, ma sono domande frequenti anche per altri argomenti. Penso dipenda dall’essere discontinua con la terapia – questione di orari – e passare periodi relativamente lunghi con i lavori a metà: i cavi scoperti dissipano di più.

E le mie parti non sono ancora fuse bene, tipo un impasto pieno di grumi.

A voi capita mai di essere sequestrati da un succedersi di pensieri?

Io non so cosa ascoltare.

Lo scrivo qui per obbligarmi a farlo – consigli ben accetti

Da ormai qualche mese mi ero proposta di registrare un paio di video.

Tra l’inizio da Zack e l’ancora precedente visita dal Dr Luke lo psichiatra, è un pezzo che la ripresa della salute mentale si è prepotentemente fatta strada nelle mie giornate.

E va là!

Come sempre, parlo relativamente poco di affari miei (preferisco scriverne) ma è anche vero che ho pochi filtri.

Quindi, se nei primi tempi mi veniva domandato come stessi o qualcun altro dei convenevoli che mi annoiano molto, rispondevo cose tipo “Mah, insomma: ho il cervello inceppato. Lo psichiatra dice che si può mettere a posto ma ci vorrà un po’”.

Oh: mi si fa una domanda, io rispondo. O vado via, dipende.

La solfa “ciao-bene-grazie-tu” mi fa venir voglia di prendere a schiaffi l’interlocutore, talmente l’ho sentita. Ed è anche profondamente ridicola per almeno un altro motivo: che le cose non vadano bene già è faticoso, fingere non sia così è ulteriormente faticoso e a me rompe infinitamente il cazzo parlare di nulla;

non so: a ‘sto punto martelliamoci direttamente i trillici a vicenda, quando c’incrociamo.

Se ho un po’ di tempo, mi piace aprire la strada:

Ciao! Come stai?!

– Insomma: mi hanno detto che sono matta, a parte questo tranqui. Tu?

– … ahah…ah, io… bene…

Ma “bene” COSA, che i tuoi muscoli del collo son più tesi dei tiranti di un tendone da circo e stai serrando tanto tra loro i molari per mantenere in postura il sorriso, che ti si sgretola la batteria di otturazioni.

– Ah sì? Sembri un po’ di fretta, tutto ok…?

(Il “di fretta” suona sempre meglio di “teso/a” o “stanco/a” e tendenzialmente le donne si agitano meno così: più di frequente le femmine preferiscono tentare di dissimulare rogne e fatiche, altro discorso con i maschi, a prescindere dal sesso poi dipende da persona a persona partendo dal presupposto che la confidenza non è molta).

BRAM!

A questo punto ti ascolti il problema o qualcosa che ci va vicino, incoraggi un po’ e l’altro se ne va un po’ meno peggio di come è arrivato. Almeno ha ricevuto interesse.

A parte le mie collaudatissime tecniche, la quantità di reticenza e terrore davanti a qualunque cosa riguardi il cervello, è tristemente ironica.

Siamo messi così male, che ci spaventa l’idea di prenderci cura del nostro cervello ma non delle nostre ginocchia.

Ora, capisco che sia desolante il numero di persone che usano più le rotule dei neuroni, ma insomma: non serve un gran volo pindarico per rendersi conto dell’ordine corretto delle priorità.

Non dico tutti dovrebbero andare in terapia, anche perché si tratta ingiustamente di un trattamento di lusso per ora, ma cercare di trattarsi meglio dentro al cranio con almeno un quinto dell’attenzione che mettiamo in quello che mangiamo, dovrebbe essere scontato.

Di qui, vista l’impossibilità di fermare tutti per strada per erogare lo stesso promemoria, considerata la facilità con cui si può realizzare, un qualche video sul tema a riguardo penso potrebbe aiutare.

Anche solo a sentirsi meno soli.

Solo che mi vergogno – vado forte live, ma in video… – e trovo scuse e non è immediato trovare un registro adatto a più persone alla volta.

Quindi, oggi inizio a provare e lo scrivo qui per prendere un impegno a scadenza entro la fine del mese (vorrei prepararne più di uno prima di metterne fuori).

Vediamo come va.

È una puttanata?

Dialoghi

“Ciao Turbo

“Ciao Tazza, come stai?”

“Bene, tu?”

“Bene dai… solo che stasera ho mangiato troppo e adesso mi sento un po’ così… troppa mozzarella”

“Ma non eri vegano?” 😂

“Siiii siiii, ma se avanza qualcosa della pizza di mia madre, che la ordina tirata ma non riesce mai a finirla…” 😏

“Ci sta ci sta, alla fine è più vegano non buttare cibo, che rifiutarsi di finirlo perché c’è della mozzarella” 🤔

“Infatti infatti. Solo che da quando è così raro che ne mangi, il formaggio mi gonfia… Non mi fa sentire benissimo mi sa” 😕

“È normale sai: quando smetti di mangiare determinati alimenti per lungo tempo, poi il tuo corpo smette di produrre gli enzimi per digerire quella roba lì. Per quello poi capita di sentirsi gonfi” 🤓

“Ah sì? Ma quanto ci vuole per smettere di digerirli bene?” 😕

“È una regolazione a medio termine… nell’ordine di settimane. Poi assunzioni molto ridotte a cadenza regolare, possono ripristinare le capacità digestive” 👍🏻

“Ah sì?!” 😯

“Sisi” 😌

“Chissà come starò allora, la prossima volta che mi capiterà di leccare una figa”.

😂😂😂

About depression

Ho appena letto un articolo che chiarisce – basandosi su molte misurazioni – come il cervello risulti fisicamente danneggiato da una situazione continua o episodi ricorrenti di depressione.

L’Ippocampo si strizza, perde di volume ed è una modifica fisica non da poco: oltre ad essere parte integrante delle strutture atte al funzionamento della vita emozionale, è necessario a fissare i ricordi, dove per “ricordi” non intendiamo meramente dati ed eventi ma l’insieme delle esperienze psicofisiche necessarie a mantenere fluida la normale e quotidiana costruzione del concetto di sé.  

Ricordare di esistere, insomma.

 Orcamadonna.

C’è di bello che la questione pare essere reversibile, e va là.

Tendo sempre all’autoreferenzialismo quando leggo di malattie che ho avuto, questo ad esempio potrebbe spiegare perché ci siano voluti due anni dalla risoluzione dei sintomi, per avere il mio cervello indietro. 

Vabbè, cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno  

 

E qui l’articolo completo.  

Vaccini – Perché non ha senso discuterne

Non ha un cazzo di senso discutere di vaccini perché (serie limitata di moto in pausapaglia):

  1. Sono tra i farmaci più testati al mondo, casualmente testandoli – la commercializzazione di un farmaco è considerato l’ultimo step della ricerca – le malattie che contrastano, vanno scomparendo
  2. A non vaccinare i vostri minchiosissimi paffutelli rospi le spese le fanno i bambini, non i genitori 
  3. No, non è meglio prendere una malattia e guarire piuttosto che vaccinarsi, perché se si prende il morbillo – ad esempio – poi si guarisce, c’è comunque la possibilità che si annidi nel cervello e anche a distanza di anni provochi una cazzo di encefalite, non sempre letale ma spesso e comunque con altre conseguenze orribili 
  4. Chi non vaccina mette a rischio i bambini in età pre-vaccinale e se io avessi un figlio che muore perché un cazzo di hippie ignorante gli ha starnutito addosso, penso sarei legittimata ad ammazzarlo
  5. Imbecilli che leggono due facciate di stronzate su fb e pensano di conoscere sufficientemente argomenti su cui la gente si ammazza di studio per anni andrebbero interdetti dalla rete e dalla riproduzione perché così facendo fanno del male

Paglia finita, potrei andare avanti ma non ho tempo, poi si può pure parlare dei danni del fumo, ma n’altra volta.

Ah, goodmorning difterite in Spagna manica di genitori idioti che tanto amano il terzo mondo, l’ebola vi deve venire.