‘Sta rottura di cazzo della felicità

L’altra sera, chiacchieravo con Lalù.

“Oh ma hai visto Famoso Cuoco Salutista?”

“Chi…?”

Famoso Cuoco, quello delle ricette salutari…”

“Ah, quel mezzo cazzaro che sosteneva esistessero le prove che i latticini fanno venire il cancro? Ho presente: lui e la Ferragni mi escono di continuo nei suggerimenti Instagram e almeno lei parla solo di quello che sa”

“… Sì, va bene…”
(quando parto per la tangente, Lalù mi fa finire ma non si perde con me perché stringe il filo)
“… quindi non hai visto cos’ha fatto?”

“Noneeee, spiega”

“Ah niente: sembra abbia mollato la sua compagna e adesso stia con un tipo, nelle storie di Instagram mette un sacco di filmati di loro due”.

Ne parliamo un altro po’, poi il discorso muore lì.
Il giorno successivo, quando mi compare un’immagine del suddetto tra i post suggeriti, apro e vado a vedere e pare proprio sia così.
Avanti ancora un paio di giorni, caso vuole sia il suo compleanno e posti (lui) una vecchia foto da bambino, che io apro e di cui leggo la didascalia senza far subito caso sia sua.

Un panegirico sul fatto che i quaranta siano la decade della coscienza di sé e del capire, dato incontrovertibilmente sostenuto da studi scientifici (?), del lasciarsi finalmente alle spalle certe persone e un’altra fila di banalità olimpioniche.

Ma io dico, ti sei riprodotto tre anni fa con una tipa che era tua morosa da anni
non potevi arrivarci prima?
Che preferivi il pisello non ti aveva mai solcato i pensieri?

Banalissimamente, io m’incazzo perché m’immedesimo nella figlia.

Ma ti pare che tuo padre lasci tua madre, perché dopo tre anni dall’avvenuta fecondazione (e a pochi mesi da post melensi sulla vita famigliare) ha capito di aver trovato se stesso?
Prima dormiva?
Ma chi è, Joey Potter? Almeno nella serie TV lei aveva 16 anni.

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(Ho cercato senza successo la scena di Dawson sbronzo al proprio compleanno, che percula Joey e la sua ricerca di se stessa, guardando sotto al tavolo e dietro al divano).

Ora, al di là della critica diretta
(sìsì, ognuno ha cazzi di cui non si sa da fuori, bla bla bla, politically correct come se questi sketch fossero una nnnovità sul panorama mondiale)

la mia domanda sarà sciocca:

è legittimo anteporre la propria felicità a quella delle persone coinvolte nelle scelte compiute?

Perché, se la matematica non m’inganna, qui si è 2 – 1.

E la cinna, ora piccola e sicuramente curata attentamente da entrambi i genitori (bla bla bla politically correct) fisso che non uscirà indenne da una roba del genere.
Poi, non è che la ex compagna meriti meno solidarietà perché è adulta: passare dalla famiglia fastidiosissima di cocainomani apparenti stile pubblicità Mulino Bianco a una alla Özpetek, insomma… Non dev’essere facile.
Mica l’avevano scelta a caso, la nata sconsolata Margherita Buy.

Altro esempio: tipa nel paese di fianco al mio, che mollò il padre del proprio figlio
per il nonno.
Ma comecazzo ti viene in mente…?

Non lo so.

Capisco che chi vive il dissidio interno personale e cazzi e ammazzi, è persona a sua volta e non infallibile bla bla bla

ma a me continua a sembrare una grave ingiustizia, il continuo fare i propri comodi, a prescindere da chi lasci indietro.

Anche perché il rincorrere a tutti i costi la felicità – reso evidente che è solo della tua che ti frega – porta inevitabilmente a collezionare vittime: sono pochi i rapporti unicamente popolati da estatica gioiaCum fegna?
Cambiamo ogni volta che ci tira il culo? Passiamo la vita usando gli altri

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come serial filler?

Riempiamo i nostri vuoti con gente a caso finché ne ha, poi una volta esaurita la funzione, addio-ciaociao-aufwiedersehen-goodbye?
Boh, a me ‘ste cose fanno venire nostalgia dei tempi in cui mia nonna era vigorosa e implacabile e se non arrivava al bersaglio con lo schiaffo pedagogico, ti tirava dietro granate di coca-cola in lattina (che vendeva in bottega: munizioni infinite).

Non so: sbaglio io?
Sbaglio io nel pensare che lo scopo della vita non sia sentirsi sempre al Luna Pork e che sia da codardi del cazzo arrogarsi il diritto di rompere ogni patto, tanto si può?

Più che in altre occasioni, mi pare appropriato un: ficcatevela in culo, ‘sta cazzo di felicità.

 

Aborto: mi cascano le palle

Il tema dell’aborto, sotto tre diversi aspetti, ultimamente mi è tornato a viva forza dentro al cranio.

La scorsa settimana, ho condiviso su Facebook un post – abbastanza arrabbiato – di una tipa che difendeva il diritto a ricorrervi. Non una pubblicità pro IGV (nei confronti della quale penso ognuna debba avere la propria visione), solo un dichiarare che dovrebbe essere disponibile per tutte, senza colpevolizzazione o stronzaggine.

Sotto al post, ha preso a commentare la moglie di B., che non conosco molto.

B. lo si trova indietro di qualche anno, su questo blog. È un tipo che conobbi nell’ennesimo Sturm und Drang della mia vita; caso volle, che anche lui fosse dentro uno dei suoi.

Tra di noi, tutto quello che c’è stato si riassume in due o tre telefilmici limoni, un paio di sbroccate, per arrivare alla reciproca comprensione: tra me e lui non c’era chimica, solo un’estrema affinità, che ci aveva portati a buttare l’una sull’altro cose che non riguardavano noi.

Per questo, anche a distanza di anni, siamo rimasti ottimi amici.

Questi siamo io e lui ai laghetti: ci andiamo ogni volta che lui torna in Italia dalla Cina, Paese in cui si trasferì tre o quattro anni fa. E dove ha conosciuto sua moglie E.

La cosa che racconto sempre di loro due, è la vicenda geografica:

i due si sono conosciuti a Shangai, nel circuito degli stranieri emigrati.

Quando mi disse che aveva trovato la donna, lo immaginai – testualmente – con un’avventuriera americana, o con un’asiatica alta e misteriosa.

Invece

“No Tazza, è anche lei di BP…”

E. fino ai cinque anni, aveva vissuto nello stesso paesino immerso in nulla e nebbia, da cui viene lui.

I veneti, lo prendono sul serio il detto “Mogli e buoi dei paesi tuoi”, cazzo.

Io ed E. siamo molto diverse, ma penso ci stiamo simpatiche.

Il post che ho condiviso su FB, pur non trattando esattamente lo stesso aspetto, l’ha punta sul vivo: lei è B. hanno sofferto un aborto spontaneo, a seguito di una gravidanza molto desiderata.

E. non è complicata né cervellotica, e ha quel modo disarmante e schietto di vivere e raccontare il dolore, che a me fa sempre venire un po’ da piangere.

“Nessuno parla mai di tutte quelle mamme che non ce l’hanno fatta fino in fondo a diventarlo, a nessuno interessa”

era il succo del discorso. È vero: ne conosco altre.

In piccola parte, la capisco: ai tempi di P., mentre facevo addominali, iniziai a sentire un gran fastidio nel basso ventre – simile a crampi mestruali -, arrivai in bagno e feci appena in tempo a sedermi, che partì una lavata di sangue e schifo. Durò un paio di minuti.

Mi era già capitato di avere perdite strane (occasionalmente), ma mai una cosa del genere.

Finita, mi tirai su e feci finta di niente. Avevo altro per la testa, in quel periodo.

Tempo dopo, a una visita ginecologica, il medico mi chiese se avessi figli.

“No” risposi, presa alla sprovvista.

“Beh, di qui qualcosa è passato”.

Avevo rimosso. Con il suono delle sue parole, il ricordo di quel tardo pomeriggio tornò su come un conato di vomito.

Raccontatolo a E., si è ripristinato l’equilibrio: a quel punto, parlavamo della stessa cosa. Un aborto non è mai a costo zero, anche se ti coglie alla sprovvista e passa senza conseguenze.

Anche la mia amica CE. ha perso una gravidanza.

Ieri l’altro l’ho incrociata per caso e ci siamo fermate a fare due chiacchiere.

“Ma non mi vedi diversa??” ha miagolato sorridente.

“Sei incinta!”

“Sì! Ma è proprio fresca, infatti vediamo come va…”

Ci era rimasta davvero male, per la prima gravidanza persa. Come E.: relazione stabile, figlio desiderato, difficoltà a rimanere nuovamente incinta.

Il suo capo è un coglione: considerato il lavoro che fa, può stare a casa da subito, ma lei non è il tipo che approfitta di ogni singola possibilità per fare meno. Certo che, con il suo storico, il piano è dare a lui l’agio di sostituirla ma staccare comunque presto.

Il Capo Coglione però, non se lo merita. Prima che l’assumesse, sono stati colleghi, si conoscono da 15 anni, eppure

ha avuto il coraggio di rispondere al di lei annuncio, con:

“Beh oh, tanto lo sai che sono già pronto con la bambolina vodoo, come l’altra volta”.

Da am-maz-za-re.

Detto da uno che ha due figlie poi!

Ancora, mi è tornato tutto in mente: E. e il suo dolore, la sua candida paura di non riuscire a farcela più;

le altre storie sentite al volo, di amiche e non;

la mia, per il cui esito sono serena, perché se fosse andata diversamente sarebbe stato un casino per me, per P., e non ci sarebbe stata la terapia con Zap, e non avrei avuto Alck.

Ho ripensato allo sconforto di CE ogni mese.

Non ho una vera conclusione da tirare, penso solo che nello stracazzo di 2018

ancora

anziché ad andare avanti, a imparare a stare meglio e a capire di più, ci si ritrova a dover soffrire l’ovvio in varie forme.

L’aborto sfortunato, quello casuale, quello augurato, sono tre facce di un poliedro gigantesco, su cui mancano empatia ed educazione.

Di tutte queste storie, quello che mi rimane, è una sonora

cascata di palle.

2 – Io ci sono (lo stesso) – Post Terapia

Come di frequente accade, nemmeno nella dissociazione della personalità, gli esseri umani sono originali quanto amano credere.

“Cosa senti adesso?”

È una cosa che Zack mi chiede spesso, durante la MPR o come si chiama (mai stati il mio forte gli acronimi, manca una E o qualcos’altro).

Distacco”.

Quella sigla lì indica una roba che si fa con gli occhi che seguono un dito… che dovrebbe fondere l’influenza dei due emisferi l’uno sull’altro…

Boh, mi pare una cazzata, ma non sono io quella che ne sa sull’argomento, quindi qualunque cosa mi paia non è che sia troppo rilevante.

Ieri sono stata a una seduta, ma non quella del post precedente; da quella è trascorsa più di una settimana, e ieri abbiamo proseguito in scia.

Ci ho messo giorni a riprendermi: uscita dal suo studio ero dentro al 1990qualcosa, non c’erano persone di lì in poi.

I morti erano risorti, un pesante sipario nascondeva i vivi e il pezzo di me a quel punto in comando era arrabbiato e sfiancato e disinteressato a qualunque cosa il presente srotolasse in avanti.

Una bambina troppo stanca, che aveva bisogno di dormire.

Ieri, ad afferrare il timone è stato il Protettore Distaccato.

Lui è il serafico capitano di una nave da guerra: dargli contro, in qualunque momento, corrisponde ad affondare.

Nel contesto della Schema Therapy, il suo ruolo è allontanarti dalla fonte di dolore o malessere;

infatti, non attacca mai per primo: devi punzecchiarlo parecchio.

Vuole che tu non senta e ti fa venir voglia di bere e di stordirti e star tranquilla, finché qualcuno ti caga il cazzo.

A quel punto, ci pensa lui.

Ehm, a volte sbaglia mira: se non può rifarsi sulla fonte del problema, è capace di prendersela con qualcuno a caso, ma insomma… Negli anni ha acquisito precisione crescente.

“Ricordo” un paio di episodi in cui persi il controllo: ero poco meno che ventenne, ubriaca fradicia, e beccata clamorosamente.

Sottoposta a comprensibile interrogatorio, ha risposto lui.

Incazzato duro.

Non so cosa disse esattamente, ma i familiari presenti in quelle occasioni, le rare volte in cui gli aneddoti riemergono – mescolati a ricordi innocui di altri anni fa – su quei momenti abbassano gli occhi e passano oltre, molto in fretta.

Non mi hanno mai voluto ripetere cosa dissi. Hanno paura che sottoscriva, i codardi.

Come se fossi io, quella che non può immaginarlo, sé.

Francamente, anche se non è l’aspetto di me che preferisco e può essere difficile impedirgli di sparare,

anche se a volte non mi piace essere così,

il Protettore Distaccato ha una certa abilità dialettica e implacabilità emotiva che apprezzo molto.

Ha passato una vita a osservare in silenzio, prendere misura e leggere gesti volontari e non, per decidere quando era il momento di scappare.

A volte, alle facce stupite dei conoscenti a cui riporto esattamente cosa stavano pensando nel determinato frangente, rispondo che dovrei fare la profiler.

Il Protettore Distaccato osserva tutto, elabora in fretta, fonde e comprime i tratti dei malcapitati e li usa come proiettili, sparando pacatamente ad alta velocità. Perché non è distratto da emozioni, né intenerito.

Una cosa che mi sono sentita ripetere negli anni, sotto numerose perifrasi, è: “Quando ti arrabbi, fai paura. Sembri fatta di amianto.”

Beh, la descrizione corrisponde: non cambio mai espressione, quando decide lui. Sento contrarsi muscoli del viso ai quali normalmente non faccio caso e mi rendo conto che lavorano per appiattire le sopracciglia, bloccare le labbra, tirare le tempie.

Non c’è cosa che alcuno possa dirmi, che mi sfiori anche solo di lontano. Lo scudo del gran cazzo che gliene frega nemmeno si solleva, perché il punto è:

tu, tu che ti permetti di rompermi i coglioni con le tue stronzate, ma chi cazzo pensi di essere?

Cosa ha formato nel tuo inutile cranio, la fantasiosa idea di potermi guardare o parlare? Torna nel tuo stagno e annega nella merda. Lasciami stare.

E il punto, spesso viene espresso molto bene: nessuna parolaccia, commenti a segno, voce bassa e monotòna.

La cosa che stimo di lui – continuo a chiamarlo come entità a parte perché non sono così veloce a reagire, se mi trovo in stato di quiete – è che legge le espressioni altrui con una rapidità impareggiabile e – se crede – aggiusta la traiettoria della frase in fase di tiro, mentre è già in volo.

Il tuo punto debole è l’aspetto?

Le tue scelte di vita forniscono un tasto dolente? O il tempo che passa?

Il non aver avuto figli?

La tua dipendenza dalle droghe o dal gioco? Le corna che ti fa tuo marito o il fatto che tuo padre scopasse le tue amiche?

Uomini e donne espongono bersagli diversi, il più delle volte. Quasi sempre, sono donne a rompermi i coglioni.

Perché sapete… si capisce. Non serve che ci conosciamo da prima.

Siamo per strada? In paese capitano, questi incontri alla “Mezzogiorno di fuoco”. Persone che sbucano random, solo per dirti qualcosa di assolutamente fuori luogo.

Vecchi rancori che risuonano, o gente di merda che pensa di aver qualcosa da vomitarti addosso.

Cosa segue il tuo sguardo? Indicatori di uno stile di vita più agiato del tuo? O chi sta peggio?

Qual è il registro linguistico che usi?

Deglutisci subito prima di aprire bocca? Al tuo posto lascerei perdere: sei già in difficoltà. È timore, quello che inghiotti.

Che tipo di vestiti indossi?

Il pantone della miseria umana è davvero ripetitivo.

Non temere: lo trovo il tuo punto debole, lo trovo in fretta.

Nessuna remora: è la punizione per aver cercato di provocarmi. Per aver solo supposto di potermi colpire.

Se stai male, cazzi tuoi.

Io non c’entro.

La diagnosi di dissociazione mi ha fornito molte risposte:

non sono tanto rotta da cancellare ricordi importanti tra una modalità e l’altra, ma i dati en passant li ricordo a fuoco solo quando sono nello stesso stato in cui ero quando li ho recepiti.

In misura meno netta, penso accada a tutti, per me è solo particolarmente marcato. A volte.

E nemmeno ricordo cose che ha detto il Protettore Distaccato, quando ero più giovane e lui meno pacato.

Io non le ricordo, ma alcuni compaesani sì. C’è chi non mi saluta da quando ho 13 anni. Per fortuna, visti i soggetti.

La sera della seduta della scorsa settimana, il Protettore Distaccato si è svegliato per cercare di contenere l’esplosione di passato.

Il giorno seguente Alck, moroso recente, mi scrive che è ancora in coda all’ospedale.

Gli avevo anticipato che non mi sarebbe andato di sentirlo e che non dipendeva da lui, ma non avevo idea di cosa ci facesse all’ospedale.

Quando abbiamo iniziato a uscire, la prima seduta da Zack era solo prenotata.

Mi stupiva trovarlo bendisposto all’idea di uscire con qualcuno fuori di testa – o con troppa gente dentro la testa – e capivo che parte del suo coraggio a riguardo, era pura ingenuità.

“Basta che non mi sgozzi nel sonno” aveva circa scherzato.

“Ok, troverò un altro passatempo”.

C’è da dire che quando sono con lui, generalmente mi sento tranquilla.

Anche prima di uscirci o di pensare di volerci più che chiacchierare, mi piaceva fermarmi da sola al bar mentre lui lavorava. Alck mi disinnesca.

Così, quando mi ha scritto che si trovava in coda all’ospedale, il Protettore Distaccato – che spero lui non conosca mai – ha corrugato la fronte.

Lo sapevamo?

“Me lo avevi detto?”

“Sì sì, l’altro giorno, in sala, poco prima che te ne andassi” mi ha assicurato.

Il Protettore Distaccato si è fatto da parte di malavoglia, quanto basta perché da altrove emergesse sfocata la scena.

Sì, era vero.

Ma fino a quel momento non lo riuscivo a ricordare.

Al Protettore, Alck non piace.

Oppure: lo trova vagamente irritante, perché si escludono a vicenda.

Così, quando guida lui, è come se nemmeno conoscessi il suo nome.

Una grande fetta dello scopo di questa terapia è mettere al proprio posto i pezzi di personalità, eventualmente ridimensionati, e ordinarli come ingranaggi che muovono – compresi occasionali intoppi – le persone normali.

Anche se lo richiamo sempre meno, ho paura di perdere il Protettore Distaccato.

[…]

eh, già

Ultimamente guardo un sacco di commedie melense.
Per addormentarmi, cosa che i film seri o belli o interessanti non mi consentono di fare.
E poi – diciamoci la verità – c’è molto più gusto quando un film bello lo guardi con qualcuno e poi puoi parlarne bene, male, inutilmente fino allo sfinimento ed è un po’ che non mi accade.
Una decina d’anni forse, almeno: nel modo in cui intendo io.

Comunque – dicevo – le commedie melense.
Non ricordo in quale delle tante, un padre dice alla figlia qualcosa del tipo: “Ogni donna ha la vita sentimentale che vuole
(ah, il film è “L’amore ha il suo prezzo”, carino!)
quelle immani cazzate partorite da sceneggiatori sui quali mi faccio sempre un sacco di domande:
ci crede sul serio?
ha iniziato sui diari delle medie o esiste una sorta di università del qualunquismo?
questi almeno se la ridono mentre campano su menate del genere?
In realtà mi chiedo anche cose meno acide, ma ho veramente molto sonno ora.

Ogni donna ha la vita sentimentale che vuole“, no.
Può avere standard aspettative, speranze magari e decidere a quanti compromessi è disposta a scendere laddove si trovasse tra la numerosa schiera di persone che non sono tanto fortunate da raggiungere quella che vogliono e devono accontentarsi.

Io non lo so che vita sentimentale vorrei.
Di recente me lo sono chiesta, ma a prendere inevitabilmente il sopravvento non era tanto un progetto ideale verso il quale dirigermi, anche perché – sinceramente – io con i progetti seri sono uno schifo e la mia intera esistenza al momento ne è un fulgido esempio.
Di merda.
Non per autocommiserarmi, solo per chiarire che è tempo di ricostruzione.
Quando penso a una “vita sentimentale” a me viene solo in mente un eventuale “Chi“, mica un “Come“.
E a scegliere i chi faccio veramente
cacare
il
cazzo.

Ma a me interessa la persona che mi piace vedere ridere e che amo sentire parlare, che mi fa preoccupare se sta male o se si sente triste, che mi fa venire voglia di cavare gli occhi a chiunque si frapponga tra lei e quello che desidera.
Cose così.
Per il come… – boh – forse sarebbe il caso di iniziare a riconoscergli l’importanza che merita ma quanto poco me ne frega sta tutto nel nemmeno sapere come finire questa frase. Boh.

Un’amica di recente, citando “La verità è che non gli piaci abbastanza”
(film simpatico, a parte la vicenda principale tra due imbecilli inscopabili dotati di un patchwork incompatibile di tratti a costituire personalità incoerenti) mi ha scritto una cosa tipo:
Se vuole stare con te farà di tutto per riuscirci“.

Altra troiata indecente.
A parte il fatto che potrei pure essere io a voler stare così tanto con qualcuno da voler fare di tutto per riuscirci, non ho capito il sessimo gratuito, ma al di là di questo: che è ‘sta passione per i giochi senza frontiere..?
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Non ho capito per quale assurdo motivo, stare con qualcuno dovrebbe essere una costante corsa a ostacoli fantasiosi

“Arriva il concorrente! Dategliene con le bastonate sui denti!”
“Eccola! Via alle badilate di merda”
“Pronti con i commenti anti-autostima!”

Perché negli ultimi anni mi sono prestata ad una serie di rapporti che in buona sostanza si possono riassumere in una disperata e all-consuming staffetta dichiaratamente senza alcun traguardo, dove al posto del testimone in mano arrivava solo cacca molliccia.

Forse la storia del farsi un’idea del tipo di vita sentimentale che si vorrebbe non è poi così sbagliata, inizio anzi a trovarla scientificamente coerente: fino adesso ho collezionato una quantità di cacconi tanto privi di consistenza che per forza scivolavano tra le dita.

Che poi: mi ci metto anche io eh.
Solo pochi sfortunati sanno quanto effettivamente io possa diventare cagaminchia.
Penso sia una gara dura e i miei avversari non sono stati da meno:

“Io sono la più demente”
“No io! E anche il più stronzo!”
“E allora io sono acida”
“E io capriccioso”

Ellamadonna
che
due
coglioni.
Sia in senso popolare che illustrativo.

Comunque, tutto questo per dire che – dopo l’ennesima pippa con P – sono veramente stanca morta.
Stanca morta e sgrammaticata, stando al messaggio che gli ho mandato dopo che ho cercato di recuperare un po’ di studio nelle ore notturne per far fronte all’ennesimo spreco di tempo collezionato discutendo con lui.
Di che, poi.
Di noi?
Ma non c’è mai stato nessuno “noi”, se non nelle mie fantasie malate.

Mi piacciono i film melensi anche perché sono infarciti di quel sentimentalismo che in linea teorica invidio ma che non riuscirebbe mai a essere parte di me, come un rossetto appariscente.

B prima mi ha mandato questa: pippodromo

la trovo adatta sia per me che per lui.

E insomma, niente: metto su l’ennesimo filmino melenso per dormire, cercando di pensare che infliggersi
trame complicate
persone annodate su se stesse per passione
balle su balle su balle
frasi come “Non le farei mai una cosa del genere” quando a me si può fare molto di peggio perché lei non sono io (buongiorno delicatezza!)
boh, non vale più la pena.

Fosse un doposbronza, almeno sarebbe fatto di cose già dimenticate.

Caro B che stai tornando/8

Tra i messaggi di quel giorno, a parte quelli dell’amico dalle palpate solidali che, c’erano quelli di un paio di presenti alla festa che mi chiedevano se fossi arrivata viva e uno di M.
Messaggio guastissimo, secco, tutto punti che classicamente viene mandato al moroso dalla gnocchetta offesa, il suo succo era che non ricordava bene perché avesse “bisticciato” con me, scusa ciao.

Ne è seguito un breve scambio B, in cui io segnalavo di essermi accorta di come fosse preso male con me anche prima e lui rispondeva che era vero, non sapeva il perché ma “non c’è sempre bisogno di sviscerare tutto”.
Specie se quello che tratta di merda sei tu e quella che viene trattata di merda sono io, penso.

Comunque B, il succo del discorso
la morale
il punto
la conclusione

è che mi avete rotto il cazzo.

Mi avete veramente rotto il cazzo tu, che compari e scompari come un minchiosissimo uragano dal sorriso enorme e i pensieri contorti;
mi ha rotto il cazzo M perché è un poveretto talmente stronzo che mi ha fatto passare la nostalgia o la felicità nel ripensare a gli ultimi anni buoni prima di stare male;
mi ha rotto il cazzo aver sempre dato per scontato di essere meno di voi: ero difettosa – vero – ma non per questo meno umana.

C’è una cosa che dico sempre alle mie amiche:

prima di vederlo riconosciuto dagli altri, un valore ce lo si deve dare da soli: se tu regali auto nuove a 100 euro, nessuno replicherà “ma no dai, te ne do almeno 8000”.

Caro B, ma anche M, altro che 8000 euro, da oggi in poi.

Caro B che stai tornando/7

Ho iniziato a piangere e non mi sono più fermata.

Da sobria avrei incassato, riso per finta, fatto finta di niente ma non lo ero.
Poi checcazzo, sarà stato ubriaco anche lui ma l’alcool non inventa: amplifica, così ha alzato al massimo volume un suo nervoso che covava da chissà quanto e a me la tristezza di vederlo così.

Perché negli anni, con e (soprattutto) senza motivo abbiamo litigato milioni di volte bastava un “Ciao” e finiva in psicodramma ma era uno scontro che vedevo cretino e alla pari e la verità è che non ho dato mai lontanamente la stessa importanza agli anni di litigio di quella che per me hanno avuto gli anni insieme.
Eravamo ragazzini
è stata una vita fa
era finita già da un po’
Lo so!
Appunto: era una cosa da ricordare senza rancore, trascinata poi male ma comunque intoccata, la prima storia che sei scemo e non sai niente e vivi tutto di pancia e che bello sarebbe stato un giorno ripensarci a cuor leggero!
Almeno: pensavo.

Ero triste perché a quel punto era evidente che non sarebbe mai stato così.

Ad un certo punto, serata finita, dopo che avevo pianto circa due ore (oh scusa ma non riuscivo a fermarmi!) e perso un po’ di tramontana qualcuno mi ha caricata in auto e portata a casa.
Non ho idea di chi ci fosse sui sedili anteriori.
Mi fa ancora mettere il viso tra le mani la lieve empasse di – ehm – “palpate solidali” messa in atto dall’amico seduto al mio fianco ma ne sono uscita senza danni: prima che me ne accorgessi eravamo davanti al mio portone.

Mi sono buttata nel letto vestita, piuttosto disgustosa e stesa dalla giornata B, tu che mi hai vista bere sai di cosa parlo.
Ho dormito un sonno pesante e vischioso fino alle dodici del giorno dopo, senza mai aprire gli occhi prima – che per me è strano – senza sognare.

Ripresi i sensi, aspettati svariati minuti, ho recuperato il telefono e controllato lo schermo: avevo più di un messaggio da leggere.

Caro B che stai tornando/6

La festa era solo a metà B, Elle e Ale ronzavano sorridenti da un tavolo all’altro, il vociare era allegro e tutti iniziavamo a essere decisamente ubriachi di cibo e di vino.

Per il resto della serata ho evitato M: mi era bastata la conferma del fatto che ce l’avesse con me, non volevo problemi.

Ma le pietanze non riuscivano ad arginare il livello alcolico, poi lo sai che io non posso mangiare granché quando sono fuori casa e le verdure grigliate non sono grandi alleate quando si parla di fare da diga tra i brindisi e la lucidità.

Il sole era calato da ormai qualche ora che, finita la cena, parte del grande gazebo bianco era stato adibito a pista da ballo e ci eravamo radunati attorno alla consolle in esempi molto divertenti di come un corso di danza al momento giusto della vita, avrebbe potuto renderci nel futuro individui meno imbarazzanti per loro stessi.

Ballavo con chi capitava: amici che non vedo mai, amiche che idem, sposo, sposa, parenti, sconosciuti, poi trenino – una di quelle cose che da sobri snobbiamo tutti – all’infinito.
Peppeppeppepè,
peppeppeppepè
etc.

Il trenino arriva a destinazione a fine canzone, sollevo il viso ormai sudaticcio e mi trovo esattamente, inevitabilmente di fronte a M.
M mi guarda serio, solleva le sopracciglia e non dice una parola.
Nessun problema!, ormai biascico io per tutti!

– Dai, fammi compagnia a fumare una scigaretta

Annuisce, mi segue

Usciamo dal gazebo sul prato, allo stesso tavolino di cui sopra, sediamo lui su una sedia io sul prato, cerco una sigaretta ma non la trovo e in silenzio me ne porge il pacchetto e non ricordo cos’ho detto, non esattamente ma dev’essere stata una cosa del tipo “Te sei sempre un po’ strano”.
Ricordo che – stolta – sorridevo, pensavo – il vino pensava – che il momento di prima fosse finito.

– Te sei sempre un po’ strano
-…

Pausa.
M si agita sulla sedia, mi guarda per un momento di nuovo con la faccia pesantemente schifata, io non afferro subito quello che mi dice:

– Ma sai che a me non me ne frega un cazzo di stare qua a parlare con te?!
Infatti non so neanche cosa ci sto a fare

e mentre lo dice prende e se ne va.
Così, dal nulla, come gli avessi offeso la famiglia, in uno spazio di due secondi.
Stavo ancora accendendo la sigaretta.

Anche a ripensarci ora B, mi viene una sensazione fastidiosa nel petto, pensa a come mi sono sentita in quel momento che ero stanca, sbronza e felice.
Sarò io una pastina, una sfigata, non lo so, sarà che mi ha presa alla sprovvista.
Seduta nel prato ho
acceso la sigaretta
dato due boccate
pianto.

Caro B che stai tornando/5

Mentre parlavo con Turbo, circondata da alcuni degli altri che ascoltavano (io credo) divertiti, M mi fissava con un mezzo sorriso inquietante.
Mi fissa
Mi fissa
Si vede che si trattiene
Poi
Sbotta:

– Ah, bella roba!
– Scusami..?
(Io sorriso ebete)

– No dico, bella roba le donne che descrivi, bah!, cosa ci sia di attraente poi non so!
– Beh ohi son gusti.. La donna spiccia ha un suo pubblico

Cercavo di tenerla leggera B, senza colpo ferire

– Non capisco cosa ci sia di bello, con la gente che descrivi io non ci passerei nemmeno cinque minuti

(Perché dopo tre ti avrebbero già giustamente rotto il naso)

– Beh vabè, tranquillo: mica ci devi passare del tempo se non vuoi..
– No quello di sicuro! Neanche morto, dico solo: bello schifo, non capisco che ci si dovrebbe stare a fare con donne del genere, che merda!

Non avevo descritto chissà quali tratti, non avevo fatto un comizio, mi ero limitata a raccontare brevemente le salienze delle mie amiche, calcando la mano sull’aspetto cazzuto (che non deve piacere a tutti) della donna rugbista.
Checcazzo, parlavo di minchiate!

Il mio tono B era calmo e stupito, il suo irritato, la voce quasi stridula e l’espressione guasta da matti.
A vedersi faceva un po’ schifo e un po’ tristezza, lui che avevo sempre trovato così bello da guardare era sgradevole e grottesco, il volto deformato e ridicolo.
Per cosa poi??
Bah.

Gli amici attorno – che da quando abito via sono più suoi che miei – se mentre parlavo io ridacchiavano e commentavano e annuivano, si erano fatti silenziosi e quasi imbarazzati.

Era riuscito a creare del disagio in due minuti e non voleva fermarsi, cosa che avrei pure apprezzato se fosse stato il momento giusto ma si era lì a scherzare aspettando il secondo B, che bisogno c’era?
E non mi sento nemmeno responsabile per la “provocazione”, perché è stato del tutto ridicolo reagire in quel modo.

Anyway, si era fatto un po’ di gelo.
Lo sai che non mi piace essere attaccata e, nonostante tutti mi taccino di impulsività, ho mantenuto il sorriso migliore, piombato il bicchiere quasi pieno che avevo in mano con la nonchalance di un lavandino e mi sono alzata:

“Ops, ho finito il vino, vado in cerca di un refill, a dopo!”.

B, tu non mi conosci poi così bene, per come è andata avanti la serata mi avresti immaginata a placcare alto e tagliare teste, dare risposte taglienti e lapidarie uscendone senza un graffio ma io non sono così: quando qualcuno che ho amato – che sia stato in un tempo remoto e passato non importa – mi tratta di merda, io accuso il colpo.

E sono felice, a dispetto di tutto lo schifo che c’è stato con M, di esserne ancora capace.