L’amico penso più stretto che ho, oggi parte per qualche mese di lavoro all’estero.
Non ci siamo visti nelle ultime settimane e – come altri – è uno di quelli che è rimasto inaspettatamente con me nonostante la casuale convivenza universitaria si fosse conclusa.
Vale per lui come per Ine e Char: ex coinquiline e ora amiche per suppongo tutto il tempo che ci rimane.
Gli ho mandato un podcast di vocali, che ascolterà in volo e che non è rilevante segnarmi qui.
L’ultimo messaggio – superpippons – che gli ho scritto, però sì.
In parte perché è il mio blog e ci metto quello che mi pare (uscita reazionaria al sentirmi troppo concentrata su me stessa, quando probabilmente il problema è il contrario)
in parte perché un paio di cose riguardano timori che altri hanno sollevato parlando di terapia e cose del genere.
Here you are.
Considerazione finale:
tutta la fatica che mettevo nel cercare di attenermi a schemi non miei, mi ha rotto il cazzo e una decade ha abbondantemente dimostrato che non serve a una sega.
Non posso passare la vita a tenere imbrigliata una parte di cervello che vuole fare cose, perché funziona male quella che dovrebbe fare altre cose.
Avevo la paranoia che sistemarne una sarebbe andata a discapito dell’altra: sistemare l’efficienza sarebbe andato a discapito della mia arrancante identità. Pensavo di essere l’insieme dei miei casini, non di avere dei casini.
Non lo penso più, ora sono in incoraggiante riavvio entrambe.
Ho pensato molte volte di “stare meglio” ma era un meglio rispetto a un punto talmente basso, che persino lavarsi i capelli o arrivare al caffè senza desiderare di non esistere almeno dieci volte, poteva considerarsi un progresso.
Non è più così, e mi sento molto bene e ho tutta l’intenzione di continuare a sentirmici.
Metto in conto qualche ricaduta, sconforto e solitudine, ma ultimamente niente di tutto questo si è inghiottito giornate intere, né mi ha (completamente) tolto il sonno o le energie.
Mi sento bene, mi sento triste, mi sento stanca o carica per cose che non pensavo realisticamente di poter fare davvero. Il poco che riuscivo a concludere saltuariamente non mi rendeva mai contenta: non ero contenta di passare un esame, non ero contenta di raggiungere un risultato, non ero contenta dei lavoretti che facevo per tirare su due soldi.
Adesso è tutto molto diverso, o sono un po’ diversa io, ma insomma: in meglio.
Qualunque cosa mi faccia sentire meno di così, è qualcosa che non voglio attorno.
FINE